RIETI – “O cara moglie, miei cari figlioli,/mi piange il cuore dovervi lasciare/vado in Svizzera lavoro a cercare/per dare a voi un migliore doman./Non piangere cara, è questione di giorni,/da Zurigo Alfredo scriveva/mentre casa ogni giorno cercava/per i suoi cari avere con sé”. Inizia con queste parole la struggente ballata che Franco Trincale (cantante e cantastorie siciliano, nato a Militello nel 1935) scrisse nel 1979 per Alfredo Zardini, falegname bellunese nato a Cortina d’Ampezzo nel 1931, emigrato a Zurigo, ucciso nel 1971 per xenofobia a pugni e calci al viso e all’addome (la ballata è sul canale youtube). Era il periodo in cui si scriveva che l’ingresso nei locali pubblici era “vietato ai cani e agli italiani”, ma non bisogna andare tanto lontano, perché appena qualche decennio prima al Nord Italia era scritto “vietato l’ingresso ai meridionali”.

Il corpo di Alfredo Zardini nella bara
Il colpevole, Gerhard Schwizgebel, un pregiudicato ubriaco, manovale di 35 anni, corpulento, militante di estrema destra della propaganda contro l’accoglienza dei lavoratori stranieri nella Confederazione elvetica, fu condannato a soli 18 mesi di carcere, nessuno dei presenti parlò, nessuno intervenne. Alfredo era entrato in quel bar, il Frau Stirnimaa uno dei pochi aperti alle 5 di mattina, lungo la Langsstrasse, per prendere un caffè, prima di incontrare il suo datore di lavoro, dove avrebbe preso servizio come carpentiere, non sapeva che era un bar mal frequentato. Era sposato e padre di un bambino di cinque anni, a Zurigo era arrivato qualche giorno prima, non parlava tedesco, ma era pieno di speranza per dare un futuro alla propria famiglia, come è giusto che sia per ogni essere umano. Tra i due nacque un diverbio che sfociò in un feroce pestaggio. Zardini venne lasciato agonizzante sul marciapiede, i passanti restarono indifferenti, i soccorsi tardarono e lui morì per un’emorragia interna durante il trasporto in ospedale.

Franco Trincale, cantante e cantastorie siciliano
Sull’episodio non fu mai fatta luce, i giornali svizzeri non dettero risalto alla notizia, si soffermarono invece sulla protesta dei connazionali che il giorno successivo non andarono al lavoro. Nicola Tomasello, Bernardo Tomasello e Antonio Vengar (tre operai italiani) furono sottoposti nel 1971 a procedura di espulsione per aver fatto uno sciopero simbolico di quindici minuti in memoria di Alfredo Zardini. Il locale venne chiuso per due mesi e poi riaperto, il comune di Zurigo pagò solo le spese per il rimpatrio della salma, che intanto erano state pagate dall’associazione di emigrati Fogolâr Furlàn, mentre nei cantieri il clima si era fatto pesante. Il colpevole fu accusato solo di eccesso di legittima difesa, ma Alfredo era disarmato.
In quegli anni la Svizzera ospitava 1 milione e centomila lavoratori stranieri, tra cui circa 560 mila italiani ed era forte il movimento xenofobo che nel 1970 aveva già portato a un referendum per limitare la presenza degli immigrati al 10%. La proposta venne respinta, ma il consenso fu del 46% dei votanti. Seguirono altri due referendum negli anni successivi, con minore consenso. In Italia vennero sollevate alcune interrogazioni parlamentari che comunque non servirono a distendere le controversie e a ottenere una condanna esemplare per il colpevole. Gli italiani continuano ad emigrare, anche se non più nelle condizioni di povertà di un tempo, il razzismo e la xenofobia sono sempre presenti e conoscere “è necessario” come scriveva Primo Levi.
La storia di Alfredo è da ricordare per riflettere (glielo dobbiamo) soprattutto in questo momento in cui la pietas sembra essere sparita. Il sindaco di Cortina d’Ampezzo protestò con il sindaco di Zurigo per l’indifferenza mostrata, non sappiamo se la famiglia fu aiutata. Siamo partiti per decenni con la valigia di cartone cercando pane e speranza, abbiamo subito insulti, discriminazioni, violenze. Sul tema xenofobia Franco Brusati nel 1973 girò il film Pane e cioccolata con Nino Manfredi e Jonny Dorelli, raccontando le disavventure di un emigrato italiano in Svizzera: l’uomo, benché lavori, perde il permesso di soggiorno; un compatriota lo assume ma poco dopo, entrata in crisi l’azienda e persa la moglie, si suicida. Il protagonista, dopo essersi abbassato a un lavoro umiliante, decide di farsi passare per svizzero: Manfredi si era tinto i capelli di biondo, ma durante la trasmissione di una partita di calcio, il tifo per l’Italia lo fece scoprire e venne cacciato. Sul treno che lo riporta in Italia ha un ripensamento e torna indietro, deciso a non arrendersi. La pellicola ha vinto un premio ai Nastri d’Argento, 3 David di Donatello ed è stato premiato al Festival di Berlino.
Il film Io capitano di Matteo Garrone del 2023, tratta dell’emigrazione africana verso l’Europa. Ha concorso alla 80ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia per il Leone d’oro, premiato con il Leone d’argento alla regia e il Premio Marcello Mastroianni all’attore protagonista Seydou Sarr. I messaggi vengono lanciati, le informazioni ci sono, non è più come per Alfredo, di cui nessuno si è preoccupato, con i giornali svizzeri che non davano risalto a episodi xenofobi, oggi non possiamo più dire di non sapere e non possiamo voltarci dall’altra parte.
Francesca Sammarco
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