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Omicidio di Pasolini: il caso va riaperto

di | 2023-03-11T12:18:50+01:00 12-3-2023 6:10|Personaggi, Sezione 3|0 Commenti

PERUGIA – Questo è un caso giudiziario da approfondire: alla Procura di Roma è stata presentata, da qualche giorno, una istanza di riapertura delle indagini sull’omicidio di Pier Paolo Pasolini (1922-1975), ammazzato con inaudita violenza a soli 53 anni all’Idroscalo di Ostia la notte tra il 1 ed il 2 novembre 1975. Dell’uccisione del poeta, scrittore, saggista e regista friulano è stato riconosciuto colpevole e condannato, il reo confesso Giuseppe “Pino” Pelosi (1958-2017), romano di Guidonia Montecelio, frazione Setteville, ribattezzato col nomignolo “La rana”, noto alla polizia per piccoli furti e prostituzione maschile.

La domanda, tesa a far luce sui fatti nuovi emersi, porta la firma del regista David Grieco e dello sceneggiatore Giovanni Giovannetti, che si sono affidati all’avvocato Stefano Maccioni. La sollecitazione formale si basa su alcune dichiarazioni rilasciate nel 2011 dal Pelosi, sulle affermazioni di Maurizio Abbatino, soprannome “Crispino”, pentito e già esponente della banda della Magliana, rese alla Commissione Antimafia un lustro fa e su tre profili genetici, rilevati nel 2010 sulla scena del crimine, dai carabinieri del Ris, elementi che dovrebbero confermare – alla luce delle più avanzate tecnologie rispetto al passato – la presenza di più soggetti quella notte all’Idroscalo.

Pino Pelosi, condannato per l’omicidio di Pasolini

Pelosi – condannato dal tribunale dei minori (l’imputato, al tempo del delitto, era un diciassettenne) a 9 anni, 7 mesi e 10 giorni per omicidio in concorso con ignoti, con quest’ultima contestazione non riconosciuta in appello e nella sentenza definitiva – raccontò che, quella sera, era stato invitato da Pasolini a cena, mentre si trovava alla stazione Termini, nel ristorante “Biondo Tevere” nelle vicinanze della basilica di San Paolo e che poi i due si erano spostati con l’auto del letterato – una Alfa Romeo Giulia 2000 GT Veloce, targata Roma K69996 – all’Idroscalo.

Qui il letterato avrebbe preteso di consumare un rapporto sessuale violento su Pino, che “La rana” avrebbe negato e che avrebbe fatto inalberare così tanto il giovane al punto tale da spingerlo a massacrare di botte, ed in modo feroce, la vittima con un bastone ed a passare, per due volte, con la Giulia sul corpo dell’uomo, ancora in vita. Schiacciamento del torace e rottura del cuore, le cause della morte. La ricostruzione offerta dal Pelosi risultò da subito abbastanza fragile e poco convincente (PPP non era un violento, ma essendo di corporatura compatta, se non atletica, avrebbe certamente opposto una vigorosa resistenza), tuttavia la confessione piena dell’imputato superò e travolse ogni ostacolo ed interrogativo logico.

E tuttavia una inchiesta giornalistica, a caldo, pubblicata sull’Espresso, di Oriana Fallaci, portò alla conclusione che, ad aggredire Pasolini sarebbe stata più di una persona. Ed anche il presidente del collegio di primo grado, Carlo Moro (fratello di Aldo, assassinato dalle BR) scrisse in sentenza di un omicidio consumato con il concorso di soggetti rimasti ignoti. Molti anni più tardi, lo stesso Pelosi giunse ad offrire un quadro diverso dell’accaduto, raccontando in televisione (trasmissione “Ombre sul giallo”), che mentre si trovava in auto con PPP erano sopraggiunte due vetture con a bordo, complessivamente, sei uomini, tre dei quali avrebbero prelevato il poeta: uno lo avrebbe trattenuto e gli altri due lo avrebbero pestato a morte. Prima di andarsene, ad omicidio consumato, uno dei tre (descritto come “barbuto”), avrebbe minacciato il Pelosi di pesanti conseguenze personali e familiari, se non si fosse addossato, e per intero, la colpa del sanguinoso, orrendo crimine.

Il corpo del regista

La narrazione aggiuntiva, offerta dal condannato con giudizio passato in giudicato, se regala un particolare credibile (che cioè Pasolini, prima di crollare, avrebbero gridato “Aiuto, mamma”, figura alla quale Pier Paolo era effettivamente legato in maniera assoluta e profonda: basta leggere la poesia, accorata e disperata, dedicata, appunto alla madre, Susanna Colussi vedova Pasolini) e se spiega la peculiarità, piuttosto strana e singolare, della totale mancanza di macchie di sangue sugli abiti del giovane (mentre la vittima ne presentava in quantità enorme, diffusa ed agghiacciante su tutto il corpo) non appare del tutto credibile per diverse incongruenze.

Gli assassini come sapevano dell’appuntamento? Avevano seguito lo scrittore e il giovane? E quale il motivo di tanto e cieco odio? Tra l’altro i soggetti indicati, due pregiudicati romani di origine catanese, entrambi deceduti a seguito di pesanti malattie infettive, non hanno più possibilità di controbattere e di difendersi. Abbatino, davanti alla Commissione Antimafia, confessò, dal canto suo, di aver partecipato al furto, nella sede della Technicolor, delle bobine originali del film “Salò o le 120 giornate di Sodoma”, che stavano a cuore, comprensibilmente, al regista e che, successivamente all’omicidio, vennero fatte ritrovare. Ebbene: il cineasta venne ammazzato per un tentato di ricatto sulle “pizze” trafugate, organizzato alla carlona e ancor peggio gestito?

L’ultima pista conduce, invece, al libro, uscito postumo, dal titolo “Petrolio” che lumeggiava una serie di intricate vicende legate all’Eni, alla morte nell’incidente aereo di Enrico Mattei ed alle collusioni tra mafia e servizi segreti deviati. Pasolini, sul tema, con un eloquente articolo dal titolo “Io so”, pubblicato sul Corriere della Sera (quasi mutuato dal “J’accuse” di Émile Zola per il “caso Dreyfuss” di fine Ottocento) aveva lasciato intravedere maneggi e oscuri, inquietanti legami intorno alla già allora delicata questione energetica. Una situazione complessa, dunque. É probabile che, se le indagini verranno davvero riaperte, difficilmente – essendo trascorsi tanti anni ed essendo morti molti, se non tutti, i potenziali testimoni – si possa approdare a risposte esaustive e definitive.

Eppure l’eventuale sforzo degli inquirenti rivestirebbe una sua valenza ed un suo significato etico-morale: il delitto, all’epoca, venne catalogato ed archiviato nella coscienza civile, come una banale brutta storia finita male tra un omosessuale ed un ragazzo di vita. Una “diminutio” che lo spessore umano, sociale e culturale di Pasolini, sempre coraggioso nelle sue prese di posizione, non merita. Come d’altronde è diritto di ciascuna vittima, anche dell’ultimo cittadino, che la giustizia faccia il possibile per recare chiarezza su un crimine di sangue. In una poesia Pasolini aveva prefigurato così la sua fine prematura: “…della mia morte (in un fosso secco formicolante di primule, tra filari tramortiti dell’oro, a ridosso di casolari scuri contro un azzurro sublime)”.

Il poeta morì, invece, brutalmente assassinato – su questo aspetto almeno non ci sono dubbi – su uno spiazzo polveroso, nelle vicinanze di un campetto di calcio, una delle sue passioni pubblicamente esibite e pertanto ben conosciute.

Elio Clero Bertoldi

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