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La Resistenza in Umbria: dieci mesi di sacrifici e sangue

di | 2025-05-03T20:13:00+02:00 4-5-2025 0:25|Sezione 6, Storie|0 Commenti

PERUGIA – La Resistenza in Umbria è durata dal settembre del 1943 al luglio del 1944, dieci mesi, dunque, al termine dei quali l’intera regione venne completamente liberata dalle forze nazi-fasciste, grazie all’avanzata degli alleati, supportati dai gruppi partigiani. L’occupazione ebbe avvio tra l’11 ed il 14 settembre ’43 quando le autocolonne dei reparti hitleriani entrarono, manu militari, a Perugia, Foligno, Spoleto e Terni, disarmando i reparti italiani e prendendo possesso delle caserme, oltre che ad impadronirsi di armi, viveri ed automezzi. Nelle due province vennero subito insediati il Militarkommandatur 1018 teutonico e gli organi militari, amministrativi e burocratici della Rsi e quelli del Partito Fascista Repubblicano.

Il momento più alto e sanguinoso della Liberazione si colloca tra il febbraio e il luglio del ’44 sia per gli scontri in armi tra gruppi partigiani e occupanti, sia per i feroci rastrellamenti dei tedeschi (in particolare Divisione “Hermann Goering”, i reparti del I corpo paracadutisti, la XVI Panzer Grenadier Division), dei fascisti (GNR, SS Italiane, Brigata “M” di stanza ad Orvieto), le cieche rappresaglie e le agghiaccianti stragi compiute quale spietata ritorsione dalla Wehrmacht e dalle SS. Al riscatto del popolo italiano presero parte uomini e donne: comunisti, cattolici, socialisti, liberali, azionisti, ma anche persone che non erano iscritte a partiti politici e, persino, monarchici e massoni. In campo scesero militari, operai, contadini, studenti, borghesi, religiosi di ogni ordine, semplici cittadini italiani e stranieri (tra cui migliaia di slavi, detenuti nei campi di concentramento di Colfiorito e Campello sul Clitunno), ebrei, polacchi, inglesi, statunitensi. II prezzo più alto fu pagato, con le torture, col sangue e con la vita, dal mondo contadino (in larga misura mezzadrile), che subì espropriazioni, saccheggi, violenze di ogni genere, fucilazioni e massacri (spesso senza alcun motivo, in altre circostanze quale rappresaglia per aver fornito aiuto, viveri, alloggio alla resistenza armata).

L’Umbria creò – a partire dal 16 marzo 1944 – il primo territorio libero del nostro paese (tra Cascia, Norcia e Leonessa): mille chilometri quadrati, controllati dalla brigata “Gramsci”, al confine con la provincia di Rieti (fino al 1929, territorio umbro) e con comando militare installato in un albergo della città di Santa Rita. L’azione iniziale, e clamorosa, si concretizzò col rifiuto, avvenuto nel settembre del ’43 a Massa Martana, del capitano dell’esercito Guido Rossi del 228. autoreparto, a consegnare ai nazifascisti i mezzi e i materiali militari: l’ufficiale e la maggior parte dei suoi uomini si diedero alla macchia costituendo il gruppo partigiano dei Monti Martani, con l’apporto di Luigi Del Sero ed altri, successivamente rafforzati dagli slavi del tenente Milan Dobrich e dai suoi compagni evasi.

Altro episodio significativo la fuga dei detenuti politici dal carcere della Rocca di Spoleto organizzato dal capitano Ernesto Melis (e da suo padre Guido), ufficiale che poi diede vita ad una formazione armata, molto attiva, operante nel territorio di Norcia e della Valnerina. Altrettanto clamorosa l’evasione, in massa (diverse centinaia), dei detenuti del campo di Colfiorito, quasi tutti entrati in bande partigiane. Decisamente attive si dimostrarono le bande “San Faustino-Proletaria d’Urto” (Alto Tevere-Pietralunga-Gubbio), la “Gramsci” e la “Fulmine” (nel Ternano), la “Garibaldi” (nel Folignate), la “F. Innamorati” e la “Leoni” (tra Perugia e le propaggini dei Martani tra Deruta, Castelleone, Cannara, Bevagna), la “Monte Tezio”, la “Scheggia”, la “Ciabatti”, la “Risorgimento” (Trasimeno-Orvietano), la “Gualdo Tadino”, la “Pio Borri” (nel Tifernate), la “Alviano” (Orvietano).

Scontri a fuoco rilevanti si verificarono a Villa Santinelli di Trestina, dove un gruppo di nove partigiani resistette fino all’ultima munizione ai nazi-fascisti in forze preponderanti (una volta catturati i partigiani furono torturati e mitragliati sul posto) nel marzo ’44. Il 6-8 marzo la “tenaglia”, impari, tra i paracadutisti della “E. Goering”, con cannoni e carri armati e la formazione “E. Innamorati” entrati in contatto diretto nella zona Deruta-Cannara-Gualdo Cattaneo-Castelleone, dove un gruppo sotto il comando del giovanissimo Mario Grecchi, affrontò per ore il nemico. I partigiani, catturati (uno seriamente ferito, il Grecchi, subì persino una trasfusione di sangue perché gli aguzzini intendevano, come fecero, metterlo al palo), furono poi fucilati a Perugia. A fine marzo il reparto corazzato germanico 103 lasciò una spaventosa scia di sangue tra Sigillo, Scheggia, Gubbio, Pietralunga: 57 persone fucilate sul posto, sette renitenti alla leva fulminati al muro, tre cascinali fatti saltare in aria.

Nel giugno del ’44 a Montebuono, tra Monte Melino e Dirindello, si registrò un combattimento tra un reparto tedesco che razziava bestiame nei poderi e i contadini che si ribellarono al sopruso (tra i quali si contarono due morti e quattro feriti, più dieci morti tra i partigiani della “Primo Ciabatti”). Non solo Grecchi (medaglia d’oro) ed i suoi compagni: in campo scesero, più a nord, tra i tanti don Marino Ceccarelli, il prete-mitra (Pietralunga), due valorose donne quali Walkiria – “tanto nomine” – Terradura Vagnarelli e Rosina “Luxemburg” Panichi (entrambe dell’Eugubino-Gualdese), il tenente colonnello Venanzio Gabriotti (Città di Castello, trucidato sulle rive del torrente Scatorbia il 9 maggio ’44).

L’ardimentosa rivolta contro occupanti e repubblichini, scatenò tutta una serie di eccidi e di fucilazioni singole e multiple sull’intero territorio umbro, da sud a non, da est a ovest, e persino di vere e proprie stragi (spesso di cittadini ignari ed innocenti) come a Muccifora (7 coloni), ad Agliano di Campello (cinque paesani), a Camorena di Orvieto (7 torturati e fucilati), a Scopoli (quattro), a Marsciano (i tre fratelli Ceci, renitenti alla leva), a Montefalco (due diciannovenni), a Pian di Porto di Todi (cinque innocenti contadini massacrati), a Scheggia (quattro mezzadri), a Gubbio (i 40 martiri vittime di rappresaglia), a Serra Partucci (cinque giovani trucidati), a Penetola tra Umbertide e Lisciano Niccone (12 tra contadini e sfollati), a Pian dei Brusci (tra Umbertide e Città di Castello: due numerose famiglie di agricoltori), a Meltini (cinque fucilati: tre coloni, un imbianchino, un portalettere), a Monte Castello di Vibio, a metà giugno, una trentina di guastatori tedeschi, massacrarono nove contadini, senza colpe, mentre il 1 luglio a Tuoro sul Trasimeno furono rastrellati e fucilati, da nazisti della I divisione paracadutisti, 7 uomini.

Senza aggiungere nel bilancio i saccheggi e gli stupri, tra questi ultimi una donna violentata da un ufficiale della GNR tra Cannara e Bevagna. Da non sottovalutare neppure il ruolo dei soldati umbri che, sui vari fronti della guerra, si rifiutarono coraggiosamente di allearsi con i nazifascisti e scelsero di combattere a fianco degli alleati o finirono, per il loro dissenso, nei lager nazisti. Il notaio Giancarlo Antonioni, nel suo libro “L’altra Resistenza“ rimarcò anche il ruolo dei cattolici e dei preti di campagna che organizzarono una fitta rete di protezione intorno alla Resistenza: diversi i sacerdoti umbri che pagarono la loro adesione alla lotta con la vita. Assisi si ritagliò fama per aver aiutato a fuggire, con l’appoggio della diocesi, centinaia di ebrei cui erano stati forniti documenti falsi. Gli operai, in particolare a Terni, si distinsero opponendosi con sabotaggi e scioperi, a fianco della insurrezione armata. A loro, ai morti, a chi rimase ferito o mutilato ed ai sopravvissuti, dobbiamo la nostra libertà.

Elio Clero Bertoldi

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