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I negozi di vicinato ricchezza per tutti

di | 2019-11-28T19:05:32+01:00 1-12-2019 6:10|Attualità, Sezione 3|0 Commenti

VITERBO – Siamo abituati a pensare che viviamo nel Paese più bello del mondo ed è vero: siamo il Paese dove si mangia e si beve bene, dove ci si veste bene, dove l’artigianalità e la qualità sono ancora valori che fanno la differenza. Ma cosa succede se non si trovano più gli alimentari, le botteghe, i negozi di abbigliamento o di oggettistica, i cosiddetti negozi di vicinato, quei piccoli esercizi al dettaglio: luoghi di ritrovo quotidiano dove è possibile sconfiggere, specie quando si è anziani, la solitudine con qualche chiacchiera e con la compagnia della collega di acquisti, del vicino di casa, del negoziante che ti conosce e ti ascolta da una vita.

Non si tratta di un’osservazione retorica, ma è un dato di fatto che si osserva sempre più spesso, passeggiando per le vie dei centri cittadini: ci si guarda intorno e quello che si vede sono strade senza vetrine accese; dove prima c’era un negozio in piena attività, ora è molto facile trovare una saracinesca abbassata e un cartello recante la scritta “affittasi” oppure “chiuso” (fallimento, cessata attività, liquidazione…). Il crollo del potere d’acquisto delle famiglie, il calo dei consumi e la crescita del commercio online, la concorrenza spietata delle grandi catene e dei discount, tra difficoltà oggettive e progetti di resistenza e rilancio, provocano la crisi di botteghe artigiane e piccole attività commerciali. Edicole, librerie indipendenti, salumerie, piccoli alimentari, macellerie, calzolai, erboristerie, pescherie, pelletterie: l’emorragia di attività di vicinato non si è fermata, anzi si sprecano opportunità economiche e posti di lavoro.

La causa  primaria e determinante, come già detto, è  legata al deciso calo del potere d’acquisto e dei consumi. Si può senz’altro affermare, senza paura di essere smentiti, che l’effetto dell’onda lunga della “grande crisi” non è affatto finito; in più, l’aver liberalizzato gli orari di apertura anche domenicale in maniera indiscriminata, ha senza dubbio favorito la grande distribuzione facendo sì che il piccolo commercio in generale continuasse a perdere colpi senza trascurare che il commercio online ha dato il colpo di grazia, facendo soffrire le imprese più piccole. Se le botteghe artigiane e i piccoli negozi spariscono e i centri storici si svuotano, impoverendosi, sono le periferie ad ospitare le moderne e imponenti cattedrali del commercio; sempre più saracinesche abbassate nelle vecchie e classiche vie commerciali, di contro l’effetto centrifugo accentuato dai centri commerciali nelle periferie accresce l’abbandono e il degrado.

Grandi centri commerciali dei più svariati modelli e dimensioni che con aggressive politiche di prezzi non aiutano il piccolo commerciante. Negli ultimi anni si è assistito al proliferare della nascita di centri commerciali. Ogni bottega che chiude è una perdita di competenze, di conoscenze, di valore economico e sociale, di un pezzo del tessuto di una città; è un danno per la qualità della vita dei residenti e per l’appeal turistico di un territorio. Non a caso, i centri storici dove i turisti si sentono più gratificati sono quelli dove accanto alle bellezze dei monumenti e delle case, è rimasto integro il reticolo di bar, botteghe, luoghi di ritrovo, piccoli negozi.  La concorrenza dei centri commerciali è insostenibile e sembrano essere ormai diventati una croce per il commercio al dettaglio e per le piccole imprese, talvolta costituite da uno o più familiari che storicamente avevano proseguito l’attività ereditata dai genitori o dai nonni.

I piccoli negozi e le botteghe chiudono sempre per gli stessi motivi: gli affitti strozzano, le pressioni di chi vuole subentrare diventano ogni giorno più incalzanti, la burocrazia fiscale fa impazzire. Vale la pena ricordare che il cambiamento della gestione delle filiere commerciali ha portato ad un livello inferiore di qualità che probabilmente la manualità, la passione e la capacità dei commercianti e degli artigiani di un tempo riusciva a garantire; inoltre, non si può non sottolineare l’aspetto estetico e culturale dei  centri commerciali assimilabili a “grandi scatoloni”, privi di qualsiasi “bellezza architettonica” e mal inseriti nei contesti circostanti, senza alcuna continuità ambientale. Dal punto di vista sociale, invece, bisognerebbe ragionare su come la loro presenza abbia cambiato il nostro modo di aggregarci e incontrarci. La piazza, che per secoli ha fatto parte della nostra cultura, è stata infatti progressivamente sostituita da questi nuovi luoghi dedicati alla socialità, sempre più lontani dal centro abitato diventati per lo più luoghi in cui trascorrere il tempo libero, luoghi da frequentare con la famiglia e con gli amici soprattutto la domenica, giorno scelto da un cliente su tre.

Questi progetti fanno seriamente pensare anziché ad un’evoluzione del retail, ad una pericolosa involuzione: la proliferazione di questi nuovi “contenitori”, che quasi fanno a gara a chi è più grande, rischia sempre più di impoverire e di uccidere i nostri centri, che invece sono la ricchezza del nostro Paese e un perno della nostra tradizione e della nostra memoria. Sarebbe necessario e doveroso invertire questa rotta e muoversi per riattivare i centri cittadini, attraverso operazioni di riqualificazione e di rivalorizzazione che devono ricucire queste zone commerciali con il contesto e farle tornare ai loro antichi “fasti”, per dare vita ad esperienze di vera qualità.

Dobbiamo riappropriarci della nostra storia e della nostra cultura, esserne orgogliosi e non adottare modelli che non ci appartengono: i centri commerciali nascevano infatti negli anni ’50 negli USA, per creare delle destinazioni, dei luoghi artificiali di incontro e di eventi per sopperire alla mancanza di questi nelle campagne americane dell’epoca. Noi non abbiamo bisogno di questi luoghi “finti”, perché abbiamo già i centri urbani, le piazze e le vie più belle del mondo.

Adele Paglialunga

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