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“Beccaria”, grave ferita alla dignità umana

di | 2024-04-28T10:17:36+02:00 28-4-2024 5:05|Attualità, Sezione 2|0 Commenti

PERUGIA – “Questa è una conferenza stampa che non avremmo voluto tenere: una vicenda dolorosa, una brutta pagina per le istituzioni”. Le parole del procuratore capo di Milano Marcello Viola, affiancato dall’aggiunto Letizia Mannella e dalle pm Rosaria Stagnaro e Cecilia Vassena, pesano come pietre. Tredici agenti di polizia penitenziaria arrestati, otto sospesi dal servizio, altri quattro indagati ed una serie di accuse pesanti ed infamanti (lesioni, maltrattamenti, torture, una tentata violenza sessuale e falso ideologico (per le relazioni di servizio “ritoccate”) per quanto di infernale si sarebbe verificato, per lungo tempo, nell’Istituto minorile “Cesare Beccaria” di Milano, secondo il gip Stefania Donadeo, che ha condiviso, firmato ed emesso i severi provvedimenti richiesti dalla procura.

La conferenza stampa degli inquirenti

Già pare di per se stesso incredibile che il tutto si sia verificato nel luogo che porta il nome del giurista milanese, marchese ed illuminista, autore “Dei delitti e delle pene”, testo che risale al 1764 e che stigmatizzava l’ingiustizia della pena di morte e la disumanità delle torture e che ha irradiato, in tutto il mondo, le idee di una umanizzazione della pena e, di conseguenza, delle strutture carcerarie. Le indagini – ancora in corso ad opera della Squadra mobile meneghina diretta da Alfonso Iadenaia e dal Nucleo investigativo della stessa Polizia Penitenziaria, coordinato da Mario Piramide – hanno messo in luce il clima da girone dantesco che si respirava nell’Istituto. Le testimonianze delle vittime e i filmati delle telecamere (anche se la maggior parte delle “lezioni” degli agenti ai detenuti minorenni sarebbero state impartite in locali privi di “occhi elettronici”, come le celle di isolamento o l’ufficio del capoposto) parlano un linguaggio chiarissimo, solare.

Per un nulla – come chiedere un accendino o un farmaco – scattavano le pesantissime ritorsioni. Figurarsi per incendio in una cella o per il tentativo – respinto a suon di pugni da parte della vittima designata – di un approccio sessuale cercato da un agente… Il motore primo che ha portato all’emersione pubblica della terribile, angosciante realtà del “Beccaria” sono stati il garante dei detenuti Franco Maisto e il consigliere comunale David Gentili, che aveva raccolto le confidenze della madre di un detenuto e di una psicologa del carcere minorile. Gli avvenimenti che si sono verificati nell’Istituto lombardo richiamano alla mente gli odiosi episodi del 1980 che si registrarono nella famigerata “Cella Zero” del carcere di Poggioreale, col pestaggio violento, cinico, crudele, organizzato, degli sfortunati detenuti. Ovviamente le iniziative della procura milanese dovranno ora passare al vaglio del ricorso del riesame, che sicuramente verrà attivato dalle difese dei coinvolti, i quali restano non colpevoli fino a prova contraria (cioè il giudizio definitivo della Corte di Cassazione).

Tuttavia quello che filtra lascia ritenere che le accuse mosse non siano basate su prove fragili o forzate. Anche le telefonate intercorse tra gli agenti (registrate dagli investigatori, nel corso di un anno di accertamenti) rappresentano riscontri piuttosto seri nella raccolta degli elementi probatori. Dalle indiscrezioni emerse fino ad ora, si ricava anche la presenza tra gli operatori penitenziari di forme inammissibili ed inaccettabili di razzismo nei confronti dei detenuti stranieri ed un mancato rispetto, generalizzato, nei riguardi dei cittadini italiani, per di più minori, ristretti in cella. Proprio in queste ore i dati resi noti dall’associazione “Antigone” parlano pure di atti di autolesionismo e di suicidi a getto continuo ed inquietante nelle strutture carcerarie di tutto il paese. Al quadro si aggiunga il sovraffollamento sempre più massiccio ed anche il numero insufficiente, non adeguato alla bisogna, degli agenti di custodia.

Come è evidente, comunque, la situazione descritta non giustifica minimamente i comportamenti di chi si dimentica che il carcere abbia il compito di privare della libertà, ma non di calpestare la dignità del detenuto. E che la privazione della libertà resta finalizzata alla rieducazione del soggetto punito che, a fine pena, vanta pieno diritto al reinserimento nella società. La giustificazione alle violenze, addotta negli interrogatori di garanzia, da alcuni degli arrestati (“Ci avevano lasciati soli, senza guida…”) suona di infantilismo e priva di alcuna, sia pure minima, validità. Forse, oltre alle misure che dovranno essere assunte per normalizzare il mondo carcerario (più strutture, più personale) si dovrà provvedere anche alla organizzazione di approfonditi corsi di formazione riservati agli agenti di polizia penitenziaria. Scene come quelle descritte negli atti dell’inchiesta risultano intollerabili, se non indegne, ad una coscienza civile.

Elio Clero Bertoldi

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