//Venezia che affonda, specchio dell’Italia

Venezia che affonda, specchio dell’Italia

di | 2019-11-20T00:18:08+01:00 17-11-2019 6:41|Punto e Virgola|0 Commenti

E adesso si possono contare solo i danni. Che sono ingenti e che, almeno in teoria, si sarebbero potuti evitare o almeno limitare. E invece Venezia, città unica e invidiata in tutto il mondo, è in ginocchio. Anzi è in ginocchio l’Italia perché quel museo a cielo aperto è lo specchio di un Paese stupendo, ma terribilmente fragile e curato pochissimo, per non dire niente.

L’acqua alta in Laguna è un fenomeno che si conosce da secoli, i veneziani sono abituati a convivere con il mare che ad un certo punto invade le calli fino a Piazza San Marco. In qualche maniera si sono attrezzati, ma nulla si può quando l’ondata arriva a sfiorare i due metri. E allora locali allagati, attività commerciali costrette a chiudere, turisti (che non mancano mai in ogni giorno dell’anno) costretti a battere in ritirata. Eppure le previsioni erano chiare tanto da indurre il sindaco di Chioggia Alessandro Ferro a supplicare i commissari del Consorzio Venezia Nuova a mettere in funzione il Mose. Niente da fare, è l’amara sintesi della risposta. E perché? Perché l’opera non è stata collaudata. Questa è l’Italia dell’anno del Signore 2019: un’opera costata già oltre 5 miliardi di euro che non può funzionare perché non è stata collaudata. Incredibile.

Il Mose (MOdulo Sperimentale Elettromeccanico) è “un’opera di ingegneria civile, ambientale e idraulica, finalizzata alla difesa di Venezia e della sua laguna dalle acque alte, attraverso la costruzione di schiere di paratoie mobili a scomparsa poste alle cosiddette bocche di porto (i varchi che collegano la laguna con il mare aperto attraverso i quali si attua il flusso e riflusso della marea) di Lido, di Malamocco e di Chioggia, in grado di isolare temporaneamente la laguna di Venezia dal mare Adriatico durante gli eventi di alta marea”. Insomma, una sorta di barriera mobile da sollevare in caso di necessità. Appunto.

Il fatto è che il collaudo era fissato per la metà di ottobre circa, ma i due commissari Ossola e Fiengo lo rimandarono perché c’era qualcosa che, secondo loro, non andava e  quindi si sarebbero potuti creare problemi. E lo stesso Fiengo ammette al Corriere della Sera che con il Mose in funzione i danni sarebbero stati di gran lunga inferiori; aggiungendo poi che sarebbe stato necessario l’intervento del prefetto. Ma coma, voi siete stati messi lì per decidere (a 240mila euro lordi l’anno, a testa…) e deve imporvelo qualcun altro? Andate a casa che si fa prima.

Ma c’è dell’altro su questo Mose:  il 4 giugno 2014, un blitz delle Fiamme Gialle porta all’arresto di 35 persone tra imprenditori, manager, amministratori e politici coinvolti in un circolo di tangenti nell’ambito dei finanziamenti al progetto. Sono accusati di corruzione, concussione e finanziamento illecito. Tra gli arrestati,Renato Chisso, assessore regionale alle Infrastrutture dal 2000, il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, l’ex vicecomandante nazionale della Guardia di Finanza Emilio Spaziante, l’ex presidente della Regione Veneto Giancarlo Galan, il consigliere regionale Giampiero Marchese, l’europarlamentare Lia Sartori, l’ex presidente della Provincia di Venezia Davide Zoggia, l’ex presidente della Provincia di Belluno e consigliere regionale Sergio Reolon e il deputato veneziano Michele Mognato. Non importa coma sia andata a finire quell’inchiesta, ciò che conta sottolineare è che – come spesso accade in Italia – quando in ballo ci sono lavori pubblici di una certa consistenza si scatenano appetiti d’ogni genere. E la corruzione dilaga…

L’ingegner Alberto Scotti, il progettista del Mose, dichiara a Repubblica:  “Dovete togliervelo dalla testa, il Mose non può ancora proteggere Venezia perché non è finito. Sarebbe stato come guidare una Ferrari senza i freni”. Già, ma quanti secoli ci vogliono per completare questo marchingegno? Che però non convince altri tecnici espertissimi della materia.  Luigi D’Alpaos, professore emerito dell’Icea, acronimo di Ingegneria Civile Edile Ambientale dell’Università degli studi di Padova, la massima autorità in materia di ingegneria idraulica, da diversi anni autore di molti studi, ricerche e pubblicazioni sulla laguna di Venezia, in una lunga intervista all’Agi espone il suo punto vista. Che si può sintetizzare in poche parole: il Mose è sbagliato dal punto di vista progettuale e, quando pure sarà in grado di funzionare, non riuscirà a proteggere Venezia e la sua Laguna. Se davvero fosse così, avremmo semplicemente buttato un pacchetto di miliardi. Ma D’Alpaos si pone anche una semplice domanda: si riusciranno a trovare i 100-120 milioni annui per la manutenzione? Qualcuno dia una risposta, per favore.

Rimbocchiamoci tutti le maniche perché Venezia non è e non può essere sola in questi momenti. Abbiamo il dovere di essere tutti veneziani in questi giorni, al di là delle squallide strumentalizzazioni politiche. E non dimentichiamo che il maltempo ha fatto molti danni anche al Sud.

Buona domenica (nonostante tutto).

 

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