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Qualche domanda sulla fine di Pamela

di | 2018-02-18T22:31:28+01:00 19-2-2018 5:00|Prima Pagina, Punto e Virgola|0 Commenti

E’ possibile tornare sui terribili fatti di Macerata senza strumentalizzazioni, senza il tifo becero di alcune fazioni e soprattutto attenendosi ai fatti? Ci si può almeno provare, cominciando da quanto finora l’inchiesta ha permesso di appurare. Allora, la storia comincia dalla fuga di Pamela dalla comunità di recupero in cui era ricoverata. Non c’è bisogno di particolari conoscenze per sapere che i tossicodipendenti che tentano di uscire dal tunnel della droga, sono persone fragili e psicologicamente assai deboli. Hanno bisogno di continuo sostegno e di essere accompagnate da costante attenzione. Se tutto questo è noto, allora vien da chiedersi come sia stato possibile che quella povera ragazza abbia potuto allontanarsi indisturbata dal luogo nel quale risiedeva. Certo, una struttura di quel genere non è un carcere, né un lager, ma i controlli avrebbero dovuto essere comunque molto più severi per impedire quanto è avvenuto.

Nella sua fuga, Pamela probabilmente non ha una meta precisa: vuole soltanto procurarsi un po’ di droga. E’ in evidente stato di astinenza e – raccontano le cronache – la sua alterazione è ben visibile da parte dell’uomo che accetta di darle un passaggio. Questa persona si fa abbastanza facilmente convincere a darle 50 euro in cambio di un rapporto sessuale che viene realmente consumato. Dopo di che la lascia al suo destino. Seconda domanda: ma perché costui, accorgendosi (lo ha ammesso lui stesso) che qualcosa in quella giovane non andava, non l’ha portata in ospedale o non ha allertato le forze dell’ordine, invece di approfittare squallidamente del corpo della ragazza? Naturalmente, avere un rapporto sessuale con una persona consenziente e maggiorenne, sia pure a pagamento, non costituisce reato ma una normale etica umana non può e non deve consentire simili comportamenti.

Poi, l’incontro con gli spacciatori e l’assassinio. Una fine atroce, descritta in modo terribile dall’asettico linguaggio dell’autopsia. In carcere ci sono attualmente quattro persone, tutte non di nazionalità italiana. Ammesso che questa sia una caratteristica davvero importante, come appare invece da certe assai discutibili prese di posizione. E adesso tocca alla macchina della giustizia muoversi attraverso indagini rigorose e possibilmente anche rapide. In un Paese civile, quale l’Italia deve essere, i quattro attuali indagati ed eventualmente altri che dovessero affiorare in fasi successive devono essere sottoposti ad un processo equo e, in caso di colpevolezza comprovata, puniti. Il tutto nel rispetto delle nostre leggi e del nostro ordinamento e a prescindere dal colore della pelle. Perché sarebbe persino superfluo sottolineare che nei loro Paesi d’origine quelle persone probabilmente sarebbero state già giustiziate, sempre ammesso che massacrare una ragazza costituisca realmente reato.

Le polemiche politiche e le strumentalizzazioni di parte fanno parte di un teatrino squallido e deprimente che nulla toglie o aggiunge all’episodio. Serve solo a buttarla in caciara e a cercare di raccattare, durante la campagna elettorale, qualche voto qua e là. Ma tutto questo serve davvero a dare giustizia alla povera Pamela? Mah…

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