//La solitudine, male incurabile degli anziani

La solitudine, male incurabile degli anziani

di | 2020-04-04T23:38:38+02:00 24-2-2019 7:00|Punto e Virgola|1 Comment

Paolina Grassi ha quasi 91 anni ed è l’unica abitante di Casali Socraggio, un ex paesino di montagna della Valle Cannobina, in Piemonte, quasi al confine con la Svizzera. Sotto ci sono Canobbio e il Lago Maggiore con i turisti che affollano alberghi e ristoranti: lassù, invece, ci arrivano in pochissimi e soltanto d’estate. Una decina o poco più di villeggianti, ma lei non ci fa caso: “E’ il silenzio a farmi compagnia, soprattutto di notte quando non riesco a dormire: è quello il momento in cui puoi ascoltarlo meglio. Fuori dalla finestra della mia stanza è completamente buio, ma in alto il cielo è pieno di migliaia di stelle”.

 

La storia di Paolina è simile a quella di tanti anziani che restano da soli nelle loro antiche case e aspettano la morte. Che accada in alta montagna o nei nostri spesso abbandonati centri storici non cambia molto: la solitudine è una delle malattie della vecchiaia. Più cupa e perversa dell’artrite o del Parkinson o dell’Alzheimer: è il male dell’abbandono. Certo, non sempre è così, ma queste situazioni cominciano ad essere piuttosto frequenti. E devastanti. La signora Grassi aveva 4 sorelle (l’ultima è morta nel 2016), il marito se ne è andato nel 1993 e adesso che è morto pure il cane Fido è rimasta completamente sola nella sua casa al civico 27. Figli e nipoti vivono nei paesi circostanti e non le fanno mancare l’affetto, ma lei non ha nessuna intenzione di lasciare i luoghi in cui vive da sempre. “Spero di farcela fino all’ultimo perché in casa di riposo non ci voglio andare”. Ha la televisione ma non la vede mai: soltanto un soprammobile. Segue i ritmi della natura: “Faccio colazione alle 8 e poi ho sempre da fare: dar da mangiare alle galline,  pulire la chiesa, prendere le erbe, fare il fieno, lavorare con il rastrello e il falcetto, riempire la gerla di legni per la stufa…”.

 

In tutta la sua vita ha lasciato la sua montagna per accompagnare in ospedale a Novara il marito e per recarsi a Macugnaga con il prete. E al cinema ci è andata appena due volte. Sogna di tornare  dove è stata partorita, sul monte Zeda sull’Alpe Badia, a mille metri di altitudine “dove papà aveva le bestie, faceva il carbone e essiccava le castagne nel graticcio”.

 

Una vita semplice, dove non c’è posto per la paura: ” E perché mai? L’avevo a 18 anni quando c’erano i rastrellamenti dei tedeschi che volevano bruciare il paese perché si erano rifugiati i partigiani. C’era un aeroplano che volava basso e c’era il pericolo  dei bombardamenti”. Non si lamenta mai degli acciacchi conseguenti all’età, ma solo del fatto che non nevica quasi più: “Nel 1985 mio marito Luigi aveva misurato 92 centimetri di manto bianco”. Va a fare la spesa una volta al mese, accompagnata al supermercato dalla nuora. Poi mette tutto nel freezer e scongela quello che le serve, compresa una pagnotta ogni giorno.

 

E la sera, dopo cena, si va a letto presto. L’immancabile preghiera (“Che il Signore faccia star bene i miei figli e i miei nipoti) e infine la possibilità di godersi il silenzio. Lunga vita alla signora Paolina, testimone di un tempo che non tornerà mai più.

Buona domenica.

 

One Comment

  1. Mariano Bellezza 4 aprile 2020 at 22:07 - Reply

    Ho conosciuto Socraggio quando, nel 1987, fui mandato da militare a svolgere Servizio elettorale…… Premesso che io sono del profondo sud (calabrese), sono rimasto subito impressionato dalla bellezza della frazione e dell’ambiente circostante……… Sostare tre giorni a Socraggio immerso nel silenzio e’ significato per me un ritrovare e rintracciare i veri valori della vita……… Probabilmente all’epoca essendo solo una ventina di elettori, avro’ conosciuto pure la Sig.ra Grassi……….. Purtroppo, rientrato in Calabria, non ho avuto piu’ l’opportunita’ di rivedere Socraggio…….. ma un giorno, so’ che ci ritornero’ a rivivere nel silenzio quei momenti immensi………..

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