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Il caro voli non frena i terroni

di | 2020-01-02T19:23:05+01:00 5-1-2020 6:00|Attualità, Sezione 1|0 Commenti

ENNA – Valigie, borsoni, trolley (alcuni gialli, altri rossi, verdi, blu, neri)  e tante persone, per lo più giovani, riempiono le stazioni ferroviarie o i terminal dei pullman in questi giorni di festa appena trascorsi, ma non ancora finiti, per rientrare a lavoro. Un ultimo sguardo alle madri, ai padri, alle fidanzate, alle moglie, ai figli che tendono le braccia in alto in un abbraccio a mezz’aria prima di entrare nel ventre di ferro che li porta in una terra lontana, che li conduce altrove, via.
Ripartono nonostante le luci degli alberi di Natale e dei presepi continuino a barbagliare nelle case, nonostante l’odore dell’arrosto aleggi nell’aria, nonostante lo strappo dalle famiglie di origine sia doloroso, una ferita che si apre e si riapre sempre, che non conosce sutura.
Vanno via anche se avrebbero voluto rimanere ancora un po’, un altro giorno magari, fino alla domenica. Invece si deve ripartire, non c’è più tempo, è giunta l’ora. Devono pigliare il treno e il pullman dei terroni.
Ci sarebbe anche la nave, ma in inverno meglio evitare: il mare mosso e il vento potrebbero mettere in subbuglio stomaci troppo affaticati dai pranzi luculliani. Meglio, certamente, l’aereo: veloce, comodo, pratico… se non fosse per il biglietto “salato”. I meridionali lo sanno, per antica esperienza, che il costo del biglietto per e dalla Sicilia è, in prossimità delle feste, incredibilmente in ascesa. Ci sarebbe da rinunciare, da restare al Nord o farsi una vacanza in una città europea o a New York, se non fosse per quella “nostalgia canaglia” di tornare a casa. Dunque in autobus o in treno, si intraprende un viaggio lungo un giorno intero, una notte intera, un giorno e una notte talvolta; poco conta la fatica se si può riabbracciare mamma, papà e anche la nonna che ha essicato i pomodori, preparato i buccellati o le cassatelle, ha comprato chili di mericanella, nuci e nuciddi.

Poi ci sono gli amici, anche loro emigrati per studio o per lavoro, ci si è dato appuntamento alla vecchia piazza del paese: c’è Claudio che torna da Torino, Marco da Milano, Giovanni da Bolzano e Giuseppe da Siena. Martina è già arrivata la settimana scorsa da Roma. Il piatto degli affetti è troppo appetibile per rinunciarci. Ci si prepara dunque al viaggio, un trolley piccolo, qualche cambio, un regalino, una bottiglia di vino del Chianti o della Valpolicella e si parte.

Una trepidazione che fermenta man mano che si percorrono chilometri, una sottrazione matematica dal luogo d’origine, tenuta costantemente sotto controllo da Google Maps, un continuo frinire di messaggi, musica nelle orecchie e ogni tanto si sonnecchia pensando al paese natio mentre il mezzo su cui si viaggia scivola lungo la colonna vertebrale dello Stivale, fino a Villa San Giovanni, in Calabria. Non c’è siciliano che, giunto qui, non alzi la sguardo per baciare con gli occhi la sua Sicilia, la sua terra e respira a pieni polmoni, inalando l’aria che sa di mare e di agrumi.

“Caronte” è lì, pronto a traghettarli su quel fazzoletto di terra, dove hanno lasciata appesa l’anima. Al bar del traghetto, che siano le quattro del mattino o del pomeriggio, il siciliano ingolla il suo primo arancino e con la bocca piena di ragù e riso guarda la sua terra che sembra tendergli le mani ad abbracciare il suo figliol prodigo.
Il rientro di un figlio, di un parente è una rinascita, un sorriso che si dipinge, che illumina gli sguardi. Parenti e amici affollano la casa dell’emigrato, tanti Magi in visita, che tendono l’orecchio alle buone nuove portate dal continente. Una processione di festa. Un tripudio di gioia.

I giorni scorrono vorticosamente tra pranzi, cene e ricordi. Si vive tra passato e presente, il futuro, neanche quello prossimo, lo si nomina, fa paura per le distanze che pone. Ma il tempo scorre, impetuoso come i torrenti in piena, e si fa giorno e si fa sera, arriva il momento della partenza. Tutto cambia, anche il cielo si fa plumbeo, l’aria gelida, il freddo attanaglia le ossa, stritola il cuore e gela le parole. Le valigie cariche, pesanti come macigni, zeppe di salsiccia essiccata, di olive e paté vari, di legumi e arance, di minnuli e turruni attendono all’ingresso mentre un groviglio di braccia fa fatica a districarsi in un abbraccio muto, dove a parlarsi sono gli occhi lucidi.
Poi il tragitto in macchina fino alle stazioni, dove il tuo dolore è uguale al dolore di centinaia, migliaia di famiglia. Mutilate.

Ragazzi, uomini, donne e nonni che si piegano sui bambini, li sollevano a sé in un avvolgente abbraccio, quasi a respirare il loro stesso respiro, a inebriarsi di loro: ciatu miu, dicono, mentre le lacrime rigano il volto e fanno più vecchi i visi. Li accompagnano mentre varcano quei gradini che li porterà nuovamente nel ventre di ferro, mentre mani svolazzano in un ultimo cenno di saluto che vuole essere un arrivederci ma che in quel momento ha il sapore amaro di un addio.
E su treni o pullman si viaggia seduti, appoggiati ai finestrini, abbracciati a cuscini di fortuna e coperti da cappotti sperando che il sonno accorci le distanze o allevi il peso del distacco, mentre la mano si appoggia sull’impronta lasciata sul vetro dalla mamma.
Il viaggio è lungo, pesante, gli arti anchilosati non troveranno requie fino all’arrivo.
In aereo sarebbe stato meglio, se le compagnie di volo avessero avuto più a cuore le persone e meno
I soldi. Tanto clamore, tanto blaterare sui social, il Parlamento siciliano che propone leggi a favore dei tanti emigrati: idee, progetti, futili discussioni per riempire qualche testata giornalistica. Il viaggio in aeromobile è ad appannaggio dei pochi o di chi, passando notti insonni, è riuscito a beccare un biglietto low cost ma non troppo low, per via della tassa sul bagaglio a mano. E c’è chi ha già prenotato il volo per Pasqua o Ferragosto e chi, per evitare di dover rimanere senza, ha comprato un intero carnet di biglietti.

I più, invece, che hanno i contratti a tempo determinato e non possono fare progetti a lunga scadenza sperano nella Provvidenza o in un ragazzo come loro, Stefano Maiolica, un Babbo Natale in jeans e scarpette, che porta figli in dono alle madri. Il venticinquenne, in poco più di niente, lanciando forte il suo grido di protesta sui social contro il caro voli, è riuscito ad organizzare un viaggio gratuito in pullman da Milano a Catania per i terroni, grazie agli sponsor che hanno pagato le spese di viaggio. E mentre a bordo si brindava con passito e cannoli alla ricotta, si intonavano anche canti di ogni regione: i terroni, uniti dallo spirito di solidarietà, continuavano il lungo viaggio di speranza, quello di tornare a casa, la loro casa.

Natale è anche questo.

Tania Barcellona

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