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Giornalisti in crisi, colpa degli editori

di | 2019-02-24T07:57:40+01:00 24-2-2019 6:30|Attualità, Sezione 7|0 Commenti

LEVICO (Trento) – “È la stampa, bellezza, e tu non ci puoi fare niente”: è la frase polemica e diventata famosa, che Humphrey Bogart (nella foto in basso a sinistra), direttore di un giornale libero, nel film “L’ultima minaccia” del 1952, pronuncia secco al telefono facendo ascoltare al boss il fragore delle rotative che stanno stampando una inchiesta contro le sue speculazioni. Una frase diventata sinonimo della libertà di stampa, dell’autonomia dei giornalisti, e perché no, della determinazione degli editori. Ma erano altri tempi, allora e in quei luoghi c’erano altri editori, altri giornalisti. “E’ la stampa, bellezza” del XXI secolo non è la stessa cosa, non ha lo stesso significato. E non soltanto per motivi etici e deontologici ma anche e forse soprattutto (viste le conseguenze che si porta dietro) per motivi economici.

L’occupazione nel settore giornalistico ormai da tempo è in picchiata. Negli ultimi 10 anni oltre il 20% dei giornalisti professionisti, in età matura ma a stragrande maggioranza ancora in grado di svolgere egregiamente il proprio lavoro, è stato mandato a casa, in pensione, prepensionato, licenziato, in cassa integrazione, lasciandosi alle spalle la palude di un precariato sottopagato e ricattato. Ripeto, ricattato! Ed è qui che se ne va una gran parte della nostra libertà di stampa.


Nella sua relazione di apertura al Congresso della Federazione nazionale della Stampa italiana svoltosi a Levico, il segretario Raffaele Lorusso (nella foto a destra), ha documentato il crollo dell’occupazione e l’esodo massiccio dai posti di lavoro. Questi i dati sulla crisi del settore: nel 2008 gli occupati erano 18.866, nel 2018 15.016 con un saldo negativo di 3.850 unità, pari al 20,4% in meno. Nello stesso periodo il numero dei giornalisti pensionati è cresciuto in modo preoccupante del 58,7%, da 4.256 del 2008 al 7.240 del 2018, precipitando il rapporto con i giornalisti in attività a 1,56, cioè nemmeno 2 attivi per ogni pensionato.

Marina Macelloni, presidente dell’Inpgi, l’Istituto di previdenza dei giornalisti, ha rincarato la dose: “Negli ultimi 5 anni il giornalismo italiano ha perso il 15% dei posti di lavoro dipendente e la spesa per gli ammortizzatori sociali è cresciuta del 58%”.
Un altro dato che solleva molte preoccupazioni emerge comunque dall’analisi di Raffaele Lorusso quando denuncia che “il ricorso al pensionamento è stato il principale ammortizzatore sociale non sempre utilizzato correttamente”. Se i pensionamenti “hanno evitato licenziamenti e operazioni di macelleria sociale, in altri casi si sono trasformati in un escamotage legale per alleggerire i bilanci delle aziende e trasferire i costi sul bilancio Inpgi”. Nel settore della carta stampata sono stati spesi “milioni di euro esclusivamente per i pensionamenti anticipati, il ricorso agli ammortizzatori sociali, la distruzione del lavoro subordinato sostituito dal lavoro atipico, parasubordinato e irregolare, la destrutturazione di fatto del contratto di lavoro”.
Secondo il segretario della Fnsi allo stato dei fatti c’è il rischio che continui la decimazione di massa dei giornalisti perché “la verità è che l’unico modello che hanno in mente gli editori è quello che prevede lo svuotamento delle redazioni e l’aumento del lavoro precario”. “Questo quadro è di ostacolo al rinnovo del contratto nazionale di lavoro e mette a rischio un presidio democratico, qual è l’informazione, creando una vera e propria emergenza”: sono sempre parole del segretario della Fnsi.
A Levico c’era anche Massimo Landini, il nuovo segretario della Cgil, il quale ha ricordato che “un giornalista contrattualizzato è un giornalista più libero”.

 

Gianni Tassi

 

Nella foto di copertina, un momento del congresso della Federazione nazionale della Stampa

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