//Coronavirus, forse c’è troppo allarmismo

Coronavirus, forse c’è troppo allarmismo

di | 2020-02-01T13:38:16+01:00 2-2-2020 7:00|Punto e Virgola|0 Commenti

La paura è un sentimento irrazionale e spesso non governabile. Soprattutto se l’oggetto del timore è misterioso e viene da lontano. Anzi, quanto più la minaccia è “straniera e poco decifrabile”, tanto più si scatenano psicosi che si fa fatica a contenere e umanizzare. E’ il caso del coronavirus, un’ampia famiglia di virus respiratori che possono causare malattie di varia gravità: dal comune raffreddore a sindromi respiratorie come la MERS (sindrome respiratoria mediorientale) e la SARS (sindrome respiratoria acuta grave). Insomma, si va da situazioni abbastanza comuni e banali a patologie di una certa severità. A parere degli esperti, comunque, non si tratta di una faccenda particolarmente complicata se affrontata tempestivamente e con le adeguate terapie.

Il problema è che il ceppo dell’infezione è nato e si è sviluppato in Cina, una nazione immensa: in pratica, un intero, enorme continente abitato da oltre 1,4 miliardi di persone. Inizialmente (lo hanno riconosciuto le stesse autorità di Pechino) la cosa è stata piuttosto sottovalutata, quasi che si trattasse di una faccenda interna da gestire in privato senza che il resto del mondo ne dovesse sapere nulla. Ma in un’epoca in cui milioni di tonnellate di merci e centinaia di migliaia di uomini e donne si spostano ogni giorno in ogni angolo del pianeta è impossibile che un problema del genere possa restare confinato in ambiti domestici (anche se il termine è decisamente fuori luogo quando si parla di Cina).

Insomma, il virus si è sviluppato (ad oggi oltre 250 morti e più di 12mila contagiati) ed è arrivato in diversi posti, compresa l’Italia. E qui scatta la paura. I cinesi che vivono qui da noi sono tanti, ma molto spesso non hanno da tempo rapporti di alcun genere con la loro terra d’origine: dunque, che senso ha evitarli e guardarli come potenziali untori? Nessuno, eppure accade. E che senso ha dotare i nostri figli di mascherine (magari prodotte nella stessa Cina…) quando vanno a scuola e hanno come compagno un ragazzino di origine asiatica? Nessuno, eppure accade. L’irrazionalità non è controllabile, ma in certi casi non è neppure giustificabile perché  tutti i casi registrati al di fuori della Cina sono associati a viaggi nella città di Wuhan (capoluogo della provincia di Hubei: una megalopoli da 11 milioni di abitanti) o hanno avuto un contatto diretto con persone con una storia di viaggio in Cina, fatta eccezione per un caso in Vietnam in cui è stato documentato il contatto con una persona che a sua volta aveva viaggiato a Wuhan. Insomma, massima attenzione verso chi proviene dalla Cina, in particolare con la zona dell’Hubei, o comunque verso chi ha avuto relazioni di qualunque genere con quella popolazione e quel Paese.

Ma tutto questo non significa sottovalutare i pericoli né, tanto meno, nascondere la polvere sotto il tappeto. Bisogna essere pronti e preparati, attuare le misure di prevenzione indicate dagli esperti e non abbandonarsi all’allarmismo inutile e soprattutto ingiustificato. L’Italia ha dichiarato lo stato d’emergenza per i prossimi sei mesi: è una misura eccezionale, ma non bisogna pensare che il nostro Paese sia nel mezzo di un ciclone incontrollabile. Non è così e dobbiamo esserne tutti consapevoli: il sistema Italia (e, più in generale, quello delle nazioni più avanzate, che non stanno solo in Occidente) ha gli anticorpi giusti per respingere il contagio e combattere senza particolari danni il coronavirus. Continuiamo a vivere la nostra vita con serenità, evitando esagerazioni e comportamenti anomali. Probabilmente, sono proprio questi a creare più problemi della stessa malattia.

Buona domenica.

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