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Sertorio, il generale che fece tremare Roma

di | 2019-05-03T17:40:15+02:00 5-5-2019 6:15|Cultura, Sezione 4|0 Commenti

NORCIA (Perugia ) – Aveva sognato una secessione. E un regno iberico sul quale si sarebbe assiso e da cui avrebbe governato in maniera illuminata, a dispetto del Senato di Roma. Quinto Sertorio avrebbe potuto farcela a concretizzare i suoi “desiderata”. Sul campo di battaglia risultava, infatti, invitto. Cadde, invece, per il tradimento di quello che si era aggregato al suo esercito, spacciandosi per amico e alleato. Il Giuda facilitò il lavoro dei generali di Roma – tra i quali Pompeo non ancora nominato con l’attributo di Magno – che con la morte di Quinto si videro spalancare le porte della vittoria militare. Correva il 72 a.C.

Gneo Pompeo

Sertorio era nato, nel 123 a.C., a Norcia, a quei tempi centro importante della Sabina. La sua famiglia (imparentata con Mario: sua madre era cugina del leader del partito popolare) doveva essere benestante se non ricca, considerato che Sertorio, ancora molto giovane fu mandato a Roma a compiere gli studi e dove si conquistò presto una discreta fama di giurista e di oratore. Come militare si mise in luce, per le sue doti, nella storica battaglia di Acquae Sextiae, l’odierna Aix en Provence, tra le fila dell’esercito di Gaio Mario contro i Teutoni e gli Ambroni. Era il 102 a.C.; una decina di anni più tardi (nel 91) Quinto ottenne l’incarico di questore nella Gallia Cisalpina.

Godeva già delle grazie di Mario, capo dei “populares” ma l’opposizione di Silla, che gli impedì di ottenere la carica di tribuno, lo spinse ancora di più verso l’alfiere della fazione democratica nella guerra civile che inseguinò la tarda repubblica. Divenne pretore. Intanto la situazione politica precipitava: i consoli Mario e Lucio Cornelio Cinna ordinarono un gran numero di esecuzioni sommarie tra i sillani (nell’87 a.C) e quando Silla rientrò a Roma dall’Oriente, quattro anni più tardi, Sertorio si spostò in Spagna, con l’incarico di propretore.

Silla, ormai dittatore, gli inviò contro un esercito al comando di Sannio Lusco, che attraversò i Pirenei e Sertorio si recò allora (81) in Africa dove, in Mauritania, sconfisse uno dei generali avversari e conquistò Tangeri (allora Tingis).

Questo generale romano che trattava con magnanimità i popoli iberici e non li opprimeva e vessava come gli altri governatori, cominciò a conquistarsi buona fama. Aveva abolito le imposte più impopolari o comunque le aveva ridotte e aveva tolto l’obbligo di fornire alloggiamenti ai soldati: insomma una politica rispettosa che gli aveva consentito di conquistare grandi consensi in Spagna. Venne definito, dagli iberici, “il nuovo Annibale”. Come il condottiero punico, tra l’altro, aveva perso un occhio in battaglia. Lo descrivevano come un soldato coraggioso e come un intellettuale dotato di avvincente eloquenza. Roma, dopo il suo rientro in Spagna, gli spedì contro un esercito con a capo Quinto Cecilio Metello Pio, nuovo governatore. Tuttavia l’esercito di Sertorio, rafforzato da molti romani fuggiti dai sillani e dai volontari della Hispania ulterior (la Lusitania) sbaragliò completamente i romani sulle rive del Guadalquivir. Metello Pio fu costretto precipitosamente a ritirarsi.

Fu in questo periodo, probabilmente, che Sertorio, ormai padrone di tutta la Spagna (76), cominciò a maturare il sogno di un regno, che avrebbe voluto far nascere rispettando il modello romano. Creò, infatti, un senato di trecento membri e si circondò di una guardia del corpo spagnola. Al tempo stesso mise in piedi una scuola ad Osca (l’attuale Huesca) dove convocò i figli delle più importanti famiglie indigene, perché si formassero e si imbevessero della cultura romana e greca e li fece vestire con la toga orlata di porpora come i figli della nobiltà romana.

Le tribù iberiche cominciarono persino a deificarlo. Uno dei capi locali gli aveva donato una rarità: una cerva bianca. E quell’animale, secondo la credulità popolare (voce fatta circolare proprio dall’entourage di Sertorio) avrebbe comunicato al generale i vaticini, i consigli e le volontà della dea Diana. Anzi sarebbe stata proprio la dea, trasformatasi in cerva. I Lusitani invitarono il generale e lo nominarono loro condottiero contro i Romani.

Marco Perpenna Vento

Sei anni governò la Spagna, Sertorio, e con una crescente popolarità. Nel 77 a.C. arrivarono in Iberia in fuga da Roma un bel numero di romani e tra questi Marco Perpenna Vento con rilevanti risorse economiche e numerosi soldati. Fu l’anno, anche, in cui Roma gli mandò contro il giovane Gneo Pompeo, con il grado di proconsole (pur non avendo ancora ricoperto il ruolo consolare). Sertorio sconfisse duramente, sul fiume Lauro i nemici, anche se poi vicino Sagunto, l’esercito romano sembrò potesse resistere – Metello battuto Irtuleio, un luogotenente di Sertorio, riuscì a ricongiungersi con le truppe pompeiane –  tanto che il duce ribelle preferì non accettare battaglia e ritirarsi. La sua tattica si fondava, in gran parte, sulla guerriglia, Pompeo e Metello, comunque, trovandosi in difficoltà, implorarono il senato di inviare loro nuovi rinforzi.

Tuttavia fino al 72 l’ “imperator” nursino riuscì sempre a superare gli eserciti, che gli erano stati mandati contro e cominciò a intessere rapporti con i nemici di Roma (a cominciare da Mitridate, re del Ponto con il quale siglò un patto che prevedeva l’invio di 40 navi e tremila talenti per rafforzare l’esercito anti romano in cambio della Bitinia e della Cappadocia e, pare, con gli stessi schiavi di Spartaco, che stavano rivoltandosi in Italia). Pompeo e Metello in quell’anno decisero di porre una taglia sulla testa di Sertorio. Intanto un gruppo di uomini, che pure militavano al servizio del generale rivoltoso, ordirono un complotto e assassinarono, nel corso di un banchetto, il nursino che aveva sognato di diventare re.

Ma neppure a Perpenna, l’amico ingannatore ed orditore della congiura, rampollo di una grande casata e particolarmente ambizioso, i piani riuscirono. Nella battaglia ingaggiata contro Pompeo venne sonoramente sconfitto. Pensò di patteggiare e di salvarsi la vita consegnando al generale avversario le lettere che Sertorio aveva inviato a molti senatori ed aristocratici dell’Urbe. Pompeo, però, una volta avute in mano le missive compromettenti le bruciò, per evitare – questa almeno la giustificazione – una nuova, sanguinosa guerra civile e giustiziò l’arrivista, ma poco accorto, Perpenna. La morte di Sertorio, insomma, fu vendicata proprio da chi non era riuscito ad imporsi con le armi sul generale nato e cresciuto tra i monti Sibillini.

Elio Clero Bertoldi

Nella foto di copertina, il generale Quinto Sertorio

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