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Monterano, il paese fantasma del Bernini

di | 2020-10-18T07:08:10+02:00 18-10-2020 6:10|Sezione 3, Viaggi|0 Commenti

CANALE MONTERANO (Roma) – L’incanto del luogo abbandonato cattura il visitatore appena arrivato in una valle tra due forre tra i Monti della Tolfa e i Monti Sabatini, a pochi chilometri dal lago di Bracciano. Scorci, dirupi, grotte tufacee e ruderi ad un’altezza inaudita fanno capolino da rovi e cespugli ma di primo acchito è difficile capire di che epoca possano essere i resti di quel borgo disabitato. Il paesaggio è mozzafiato. Monterano, a soli 64 chilometri da Roma, si presenta così a chi attraverso una strada impervia dal paese nuovo, Canale Monterano, decide di andare a vedere ciò che resta dell’antico abitato. Il viottolo cui si accede da un cancello di legno con la scritta rudimentale “chiudere dopo essere entrati” non farebbe immaginare di potersi trovare, percorso qualche centinaio di metri, davanti ad uno spettacolo tanto affascinante: un acquedotto romano, fessure nel tufo che denotano il passaggio degli Etruschi, mura in parte medioevali, rinascimentali e poi qualcosa di barocco. Ne risulta un incastellamento che fa di questo un posto da fiaba che spunta dai rovi, come se si fosse nascosto in attesa di essere scovato.

Ma la curiosità, fin qui, non è ancora soddisfatta. E’ solo continuando il cammino perimetralmente che il panorama si apre chiarendo la natura aristocratica di questo borgo con un grande prato sul quale spicca una fontana e la facciata di una chiesa, il tutto di una fattura sobria ma elegante. Ma la sorpresa più grande, qui, sta nello scoprire che l’eleganza ancora rintracciabile sulle facciate ormai dirute fu opera del più famoso artista del barocco romano: Gian Lorenzo Bernini, scultore, urbanista, architetto, pittore, scenografo e commediografo che fu incaricato dalla famiglia Altieri di dare una rinfrescata a questo borgo che essa stessa aveva scelto dal 1671 come sede ducale. Ecco come si spiegano, quindi, gli improvvisi sbalzi temporali che si notano a Monterano quando si arriva ma anche camminando tra le sue mura, le sue case, i suoi angoli. Fu dunque Bernini a ideare la chiesa con l’annesso convento di San Bonaventura i cui resti possono ben far immaginare gli antichi fasti dell’età dell’oro vissuta nel borgo tra il XVII e il XVIII secolo.

Uno scenario splendido che ha fatto da sfondo anche nel film “Il Marchese del Grillo”. All’interno della chiesa, c’è un fico di 200 anni annoverato tra gli alberi monumentali del Lazio. Una indicazione turistica ne parla come di una manifestazione del “genius loci”, la materializzazione di una divinità protettrice del luogo. In realtà risulta difficile credere come possa essere sopravvissuta questa pianta, che di solito muore dopo qualche decina di anni, arrivando ad una circonferenza di 3 metri e un’altezza di 9. Essa appare più come il simbolo di questo posto che non vuole morire a dispetto dell’usura del tempo. Sempre di Bernini è il rifacimento del palazzo, oggi diroccato ma di cui è ancora visibile la facciata che con il suo aspetto signorile e imponente rappresentava il centro dell’abitato e dominava l’intera vallata. Sulla sua facciata spicca il leone dalla cui bocca sgorgava l’acqua che riempiva la fontana detta “Capricciosissima” per le sue volute naturali ricavate nella roccia su cui era stato costruito l’edificio del Duca, con un risultato stravagante e divertente, irregolare e smisurato, caratteristico del gusto seicentesco. La bellezza di questo gioiello in cui arte, natura e storia si intrecciano con l’ingegno, non decadde quando nel 1799 la cittadella fu distrutta dalle truppe francesi che intervennero a sedare una disputa tra Monterano e Tolfa.

Dopo questo fatto il paese fu abbandonato ma il suo affacciarsi dalla boscaglia e dalle ortiche sembra una richiesta di aiuto per non cadere nell’oblio e al visitatore appagato dall’inaspettato viaggio nel tempo appena terminato, non rimane che raccontarlo facendo del suo meglio per eguagliare a parole quanto l’uomo e la natura seppero creare insieme.

 

 

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