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Serveto, il riformatore condannato al rogo

di | 2025-05-01T12:22:52+02:00 4-5-2025 0:40|Personaggi, Sezione9|0 Commenti

NUORO – Miguel Servet y Reves (Michele Serveto) fu un teologo, umanista e medico spagnolo. A causa delle sue idee, all’età di 42 anni, il 27 ottobre del 1553 venne messo al rogo dai calvinisti, a Ginevra, come eretico. Nato a Vilanova de Sixena, Aragona, nel 1511, mentre studiava diritto a Tolosa, fu chiamato alla corte di Carlo V e viaggiò in Italia e Germania. Si dedicò agli studi biblici, patristici e filosofici, venne a contatto con le opere di Holkot, d’Ailly, di Erasmo e di Lorenzo Valla. Destinato al sacerdozio, ebbe una solida cultura umanistica, dimostrando valide competenze in latino, greco, ebraico, filosofia e matematica. Serveto decise di pubblicare direttamente le proprie idee in un libro, il De trinitatis erroribus (Gli errori sulla Trinità), nel 1531.

L’opera presentava il suo pensiero, ossia che la natura di Dio non era divisibile e le tre persone divine erano soltanto tre suoi aspetti. Il libro venne dato subito alle fiamme ma ebbe una certa diffusione in Svizzera, nell’alta Renania e nell’Italia settentrionale. Ciò mise in allerta i pensatori protestanti e li gettò nello scompiglio. Martin Lutero addirittura lo definì “un libro abominevolmente malvagio”. Bucero, dal proprio pulpito, affermò che Serveto “avrebbe meritato di essere squartato”. I riformatori dell’epoca decisero pertanto di rinforzare l’importanza dottrinale della Santa Trinità. La vendita del libro fu proibita a Basilea, Strasburgo e in tutto l’impero, e l’azione repressiva sull’opera fu talmente massiccia che, quando 20 anni dopo Serveto venne processato e condannato a Ginevra, non ne rimaneva più leggibile nemmeno una copia.

Osteggiato e oppresso dai Riformatori svizzeri, Serveto, l’anno seguente, pubblicò una parziale ritrattazione nei Dialoghi sulla Trinità, ma la ritrattazione fu una sorta di “specchietto per le allodole” e gli argomenti esposti rinforzarono il suo precedente pensiero. Isolato da tutti, senza più denaro ed in pericolo di essere accusato d’eresia, Serveto scomparve emigrando a Parigi dove visse sotto lo pseudonimo di Michel de Villeneuve (Michael Villanovanus). Successivamente si mise a fare il correttore di bozze a Lione e si appassionò alla medicina. Così tornò a Parigi e si iscrisse alla facoltà di medicina. Studiò per quattro anni con Andrea Vesalio fino alla laurea, e scoprì l’importanza della circolazione polmonare del sangue. Serveto fu attirato dallo studio della circolazione sanguigna perché, nel 1500, in Spagna il sangue era considerato il veicolo dell’impurità dei marrani, gli ebrei convertiti a forza, e il sigillo della nobiltà dei cristiani che si nutrivano del corpo stesso di Cristo.

Per Serveto non c’era separazione tra ricerche mediche e discussioni teologiche. Quando affrontava discussioni riguardo al sangue e al processo di respirazione e inspirazione egli adottava contestualmente il linguaggio della fisiologia e quello della religione, così da poter combattere pregiudizi e superstizioni unendo la ricerca scientifica e il pensiero teologico per creare un rapporto di arricchimento reciproco. Accusato di praticare l’astrologia e minacciato, abbandonò Parigi per fare ritorno a Lione dove esercitò la professione medica. Invitato da Pierre Palmier, arcivescovo di Vienne, da lui conosciuto a Parigi, lo raggiunse nel 1540 divenendo il suo medico personale. A Vienne, Serveto avrebbe potuto trascorrere una tranquilla vita di provincia, tuttavia egli si mise ancora una volta in vista scrivendo un’analisi critica di testi dell’antico Testamento (i Salmi e i Profeti), dove contestò l’interpretazione corrente che alcune frasi del testo potessero profetizzare la venuta del Cristo. Queste sue note successivamente furono iscritte nell’ Index librorum prohibitorum del 1557. Serveto iniziò una corrispondenza epistolare con Calvino per discutere con lui di argomenti dottrinali, ma la corrispondenza degenerò ben presto in rissa verbale e Calvino, informando l’amico Farel in Neuchatel, affermò che, se mai il medico si fosse recato a Ginevra, avrebbe fatto di tutto affinché questi non lasciasse vivo la città.

Sempre a Vienne iniziò a scrivere la sua opera più importante, la Christianismi Restitutio (Restaurazione del cristianesimo) che completò nel 1546 quando cominciò a circolare in forma di manoscritto. Nel 1552 l’opera venne stampata e nel 1553 alcune copie del libro vennero inviate alla più importante manifestazione libraria del tempo, la Fiera di Francoforte sul Meno, altre a Lione e a Ginevra. Basato sui due libri precedenti e sulle trenta lettere scritte a Calvino, l’opera profetizzava la fine del regno dell’Anticristo (il Papa) per il 1585 e attaccava ancora più in modo sprezzante il dogma della Trinità. Serveto ribadì così l’unità di Dio, “essendo lo Spirito e il Verbo non persone ma sue manifestazioni, e poiché l’incarnazione del Verbo è avvenuta storicamente, Cristo non può essere coeterno con Dio. Il battesimo può essere impartito solo agli adulti, poiché esso deve essere consapevole accettazione del messaggio salvifico di Cristo. Impartito ai bambini, diviene una cerimonia satanica, riflesso di antichi riti pagani che prevedevano il sacrificio dei bambini. Del resto, Dio e Satana sono perennemente in conflitto – è stato il diavolo a istituire la figura del papa – e la stessa chiesa è istituzione satanica che si oppone alla figura di Cristo. La chiesa è del resto un’istituzione inutile poiché tutti gli uomini, anche i non cristiani, possono raggiungere la salvezza attraverso la grazia elargita da Dio, del quale tutte le cose fanno parte, così che la natura di ogni cosa è costituita dello spirito stesso di Dio”.

Nella Restitutio venne anche descritta «la piccola circolazione», il fenomeno della circolazione polmonare del sangue che Serveto aveva studiato a Parigi. L’opera venne pubblicata in forma anonima dallo stampatore Frellon che incautamente ne mandò una copia a Calvino. Questo errore per Serveto fu fatale. Calvino lo fece denunciare da un suo amico di Lione, un certo Guillaume Trye, alle autorità cattoliche di Vienne e aiutò perfino l’inquisitore domenicano Ory inviando prove documentali della colpevolezza di Serveto che venne arrestato il 4 aprile 1553. Riuscì ad evadere corrompendo le guardie, ma venne condannato in contumacia al rogo della sua effige con tutti i suoi libri. Dopo aver girovagato senza meta per quattro mesi rimase un po’ in Spagna, quindi decise di raggiungere Napoli per via di terra. Pernottò in Savoia, arrivò a Ginevra il 13 agosto, prendendo una stanza nell’albergo della Rose d’Or.

Serveto, con un traghetto domenicale, avrebbe attraversato il lago di Ginevra, sarebbe giunto nell’Italia settentrionale e, infine, si sarebbe recato a Napoli. Essendo domenica, per non farsi notare, pensò di assistere, come facevano tutti per legge, alla funzione religiosa nella chiesa della Maddalena. Riconosciuto, la sua presenza venne segnalata a Calvino che lo fece denunciare da un suo amico, Nicolas de la Fontaine. Arrestato fu detenuto affinché non si potesse sottrarre alla pena prevista. Calvino aveva finalmente l’occasione d’oro per sbarazzarsi di un pericoloso dissidente che, libero, avrebbe potuto sostenere con le sue idee l’opposizione interna rappresentata dal partito dei libertini o guglielmini, molto critico con la sua gestione dittatoriale e teocratica della città. Il processo fu per Serveto una battaglia persa in partenza. Calvino usò ogni mezzo contro di lui, coinvolgendo nel giudizio finale le chiese riformate di Zurigo, Berna, Basilea e Sciaffusa. La sentenza, che fu eseguita il 27 ottobre 1553 nel rione di Champel, condannò Serveto e i suoi libri al rogo, nonostante questi avesse chiesto di essere ucciso “con la spada” perché temeva di cedere alla sofferenza e di ritrattare tutto.

Ma non gli fu concesso. Il teologo, umanista e medico spagnolo morì con dignità su “una catasta di legno ancora verde”, avendo rifiutato anche l’estremo tentativo di Farel di salvargli la vita in extremis se avesse ammesso per iscritto i suoi errori. Sulla testa gli fu messa una corona di paglia e foglie cosparsa di zolfo e gli fu dato fuoco insieme ai suoi libri. La morte avvenne dopo lunghe sofferenze, e molti tra i ginevrini presenti aggiunsero legna alla pira. Alla prima vampata del fuoco urlò e secondo le testimonianze degli storici gridò: “Gesù, figlio del Dio eterno, abbi pietà di me!”. Mezz’ora dopo spirò. I resti di Serveto andarono dispersi. Serveto fu un martire della libertà di pensiero ucciso da uno dei principali riformatori del tempo. Cattolici, luterani e calvinisti perseguitarono e condannarono la sua ricerca medica, biblica, teologica e geografica che faceva paura a qualsiasi chiesa perché era volta a superare pregiudizi e oscurantismi religiosi e scientifici.

Nel 1903 la città di Ginevra fece erigere in Place Champel, luogo dell’esecuzione, un cippo alla memoria di Miguel Servet come espiazione e riabilitazione. L’umanista e teologo francese Sebastien Castellion, sostenitore della tolleranza religiosa, per confutare le tesi che Calvino aveva enunciato in un suo “libello” per giustificare l’esecuzione di Serveto, scrisse le seguenti parole: “Uccidere un uomo non è difendere una dottrina, è uccidere un uomo. Quando i ginevrini hanno ucciso Serveto non hanno difeso una dottrina, hanno ucciso un uomo. Non spetta al magistrato difendere una dottrina. Che ha in comune la spada con la dottrina? Se Serveto avesse voluto uccidere Calvino, il magistrato avrebbe fatto bene a difendere Calvino. Ma poiché Serveto aveva combattuto con scritti e con ragioni, con ragioni e con scritti bisognava refutarlo. Non si dimostra la propria fede bruciando un uomo, ma facendosi bruciare per essa”.

Virginia Mariane

Amante del buon cibo, di un libro, della storia, dell’archeologia, dei viaggi e della musica

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