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Ma cosa c’è davvero in fondo al mare?

di | 2025-05-06T09:37:56+02:00 4-5-2025 0:01|Sezione 1, Spettacolo|0 Commenti

PALERMO – Pezzi di cucine, pneumatici, plastiche, reti, scarpe, vestiti, persino un’automobile: a seicento metri di profondità, nello stretto di Messina tra le coste calabresi e quelle siciliane c’è di tutto. Lo svelano i 72 minuti del documentario Abyss Clean Up realizzato tra il 2020 e il 2023 da Igor D’India, in collaborazione con il CNR e l’Università La Sapienza di Roma, prodotto da POPCult con il sostegno della Regione Siciliana e dell’associazione ‘Sea Shepherd Italia’ che ha messo a disposizione del progetto un’imbarcazione capace di contenere l’intero team e i ROV (Remotely Operated Vehicle), cioè veicoli subacquei a controllo remoto.

Igor D’India

Ecco qualche spezzone dell’intervista rilasciata a Carlo Andriani per la rivista National Geographic Italia da Igor D’India e dalla professoressa Martina Pierdomenico, ricercatrice del CNR.

Come nasce il documentario “Abyss Clean Up”?

Igor D’India: “Nasce per puro caso mentre cercavo spunti e idee per un documentario: mi è capitato sottomano un articolo sullo studio della professoressa Martina Pierdomenico. Mi sono interessato all’argomento e ho inviato una lettera agli autori per saperne di più con l’obiettivo di realizzare un documentario”. 

Martina Pierdomenico

Qual è lo stato dei rifiuti sottomarini nello stretto di Messina?

Igor D’India: “Questi rifiuti stanno sprofondando e stanno diventando parte del substrato. È triste dirlo ma facendo un carotaggio troveremmo rifiuti di decenni fa”.

Martina Pierdomenico: “C’è da dire che abbiamo esplorato solo una piccola porzione dello stretto di Messina. Siamo andati all’interno dell’asse di alcuni canyon che dovrebbero essere le zone in cui questi flussi di sedimento si concentrano (e così anche i rifiuti). Siamo arrivati a 600 metri di profondità mentre il Canyon di Messina, nella zona centrale tra Sicilia e Calabria, arriva fino a 2.700 metri. Abbiamo iniziato a vedere la punta dell’iceberg. Ed è difficile dare una stima della situazione perché le zone più profonde sono ancora inesplorate”. 

Perché i fondali dei nostri mari e fiumi si trasformano in discariche di rifiuti? E soprattutto perché questo problema emerge solo di recente?

Igor D’India: “Il documentario vuole dare un’idea di quello che succede sott’acqua. Anche i rifiuti che troviamo a venti metri di profondità sono nascosti agli occhi delle persone. Il mare ha questa caratteristica: copre completamente tutto quello che c’è sotto. Spesso non se ne è parlato semplicemente perché non è stato possibile vederlo”.

Martina Pierdomenico: “Il problema grande è che una parte dei rifiuti ritorna sulle spiagge ed è quella che possiamo vedere, ma un’altra va al largo sospinta dalle correnti e un’altra affonda: questa percentuale – che sembrerebbe essere molto alta – viene trasportata da vari processi fisici sui fondali e tende ad accumularsi in specifiche zone, tra cui i canyon sottomarini. E una parte può anche essere sepolta.  Dagli anni novanta l’interesse per la problematica dei rifiuti sottomarini è cresciuto nell’ambito della ricerca scientifica e ora che il problema dei rifiuti viene sempre più a galla ed è sempre più pressante, è cresciuta l’attenzione anche da parte dell’opinione pubblica. Queste esplorazioni ci danno la possibilità di porre più attenzione anche alla tematica dei rifiuti marini profondi, fondamentale ma spesso poco considerata”.

Qual è il ruolo della tecnologia – e in particolare dei ROV – per effettuare le riprese dei fondali e mostrarci lo stato del mare?

Igor D’India: “A livello documentaristico, i ROV sono molto importanti, perché permettono di arrivare dove non arriva la subacquea. Quando parliamo di esplorazione di fondali marini, 70 metri di profondità è ancora la superficie. Questo perché è molto difficile andarci di persona e anche i subacquei più preparati non si avventurano spesso in missioni esplorative oltre questa quota. Con i ROV invece ci sono tante difficoltà anche economiche, ma ci sono meno responsabilità, senza questi oggetti faremmo fatica a esplorare le profondità. Questi ROV sono talmente avanzati e potenti che ci hanno permesso di scoprire fondali che nascondono grandi sorprese sia negative che positive”.

È davvero possibile rimuovere le discariche sottomarine da -20m a -600m in Sicilia e Liguria? E se sì, come?

Igor D’India: “In questi quattro anni abbiamo effettivamente operato anche per rimuovere i rifiuti. Ma è molto, molto difficile. Ci sono vincoli a livello burocratico e legale perché quando si parla di rifiuti ritrovati in mare ci sono molti ostacoli. Con la legge ‘SalvaMare’ (L.60/2022) siamo arrivati ultimamente a un punto di svolta importante per raccogliere, smaltire e differenziare i rifiuti. Anche le aziende che vogliono supportare azioni di questo tipo fanno un passo indietro perché non è ben chiaro ciò che si può e non si può fare. Inoltre i rifiuti subacquei sono spesso anche pericolosi: alcuni rifiuti ad esempio non si possono toccare per non mettere a repentaglio l’ambiente e la sicurezza dei subacquei. È importante che le persone capiscano che la gestione dei rifiuti va fatta sulla terraferma prima che la situazione degeneri nelle profondità del mare”.

Martina Pierdomenico: “Prima della legge ‘SalvaMare’ che consente alcuni tipi di raccolta, tutti i rifiuti marini venivano assimilati a ‘rifiuti speciali’ con costi di smaltimento molto diversi da quelli urbani. Il problema dei rifiuti è davvero complesso. Dei fondali marini profondi davvero sappiamo ancora molto poco. Investire sull’esplorazione e la ricerca per capire la reale estensione e intensità del problema rappresenta già un obiettivo abbastanza ambizioso. Pensare di rimuovere anche i rifiuti in zone così remote è molto difficoltoso. Ma una delle soluzioni è la prevenzione: la riduzione dei rifiuti o le direttive europee sulla plastica monouso sono un importante incentivo per contrastare questo problema”.

Tra i tanti rifiuti anche una sorpresa: il ritrovamento di formazioni di coralli bianchi appartenenti alla specie Madrepora oculata. Quanto è importante per l’habitat del Mediterraneo?

Martina Pierdomenico: “In generale questa è una specie di corallo che a differenza dei coralli tropicali vive in ambiente profondo. Ha uno scheletro duro di carbonato di calcio e forma delle vere e proprie scogliere che rappresentano un habitat di grande valore dove si sviluppa una ricca fauna associata anche con specie di interesse commerciale. Creano delle vere e proprie oasi in un ambiente che altrimenti sarebbe più monotono. Proprio per questo, e per la loro vulnerabilità agli impatti umani, questi ecosistemi sono prioritari per la conservazione e ‘Madrepora’ è nella lista rossa delle specie minacciate. Quindi è sicuramente una notizia positiva riportare una segnalazione in una zona in cui questa specie non era stata ancora osservata se non per dei ritrovamenti occasionali proprio su dei rifiuti spiaggiati”.

“Abyss Clean Up” uscirà al cinema rendendo accessibile per tutti una tematica complessa. Quanto è importante fondere intrattenimento e sostenibilità?

Igor D’India: “Da un punto di vista documentaristico l’intrattenimento e la ricerca scientifica possono fondersi all’interno di una narrazione. Ma l’intrattenimento deve essere fatto in modo intelligente, deve coinvolgere il pubblico e deve portare le persone a immedesimarsi. Non voglio mostrare il problema in modo asettico e oggettivo, ma voglio raccontarlo attraverso gli occhi delle persone che hanno fatto questo percorso insieme a me, dai subacquei agli scienziati, per dare una idea completa di questo fenomeno. Poi ognuno può trarre le proprie conclusioni, rielaborare quello che ha visto e prendere delle decisioni. Spero che il documentario venga proiettato anche nelle scuole e incentivi le nuove generazioni a rispettare il pianeta.  Dobbiamo capire come sopravvivere a questa inversione di marcia nel mondo in cui viviamo oltre a trovare delle soluzioni. Dobbiamo riparare i danni per tutelare anche la nostra specie”.

Martina Pierdomenico: “Quello che ha fatto Igor ha un valore enorme. L’arte in tutte le sue forme può essere di aiuto alla scienza. Credo fortemente nella funzione civica della scienza, che dovrebbe contribuire al benessere dell’uomo e questo non può esistere se non tuteliamo l’ambiente che ci sostiene. Credo sia importante riuscire a diffondere questo messaggio”.

Maria D’Asaro

 

Già docente e psicopedagogista, dal 2020 giornalista pubblicista. Cura il blog: Mari da solcare
https://maridasolcare.blogspot.com. Ha scritto il libro ‘Una sedia nell’aldilà’ (Diogene Multimedia, Bologna, 2023)

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