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La “tripla” ha 40 anni, ma ancora si discute

di | 2024-01-12T19:53:37+01:00 14-1-2024 5:30|Sezione 7, Sport|0 Commenti

FORLI’ – Il tiro da tre punti nella pallacanestro, quello che una volta si chiamava “tripla”, compie i suoi primi 40 anni. E’ stato introdotto in Italia negli anni Ottanta, più precisamente nella stagione 1984-1985. Inizialmente, questa tipologia di  tiro, era quasi una esclusiva di play e guardie, più raramente delle ali. All’epoca vedere un’ala forte o un centro tirare al di fuori dell’area sembrava già una eresia, figurarsi al di fuori dell’arco introdotto in quella stagione. Pian piano però il tiro da 3 inizia a prendere piede. Comincia a diventare un’arma in più, un elemento strategico importante nell’economia di gioco.

Jorge Garbajosa

Marko Tusek

Dopo 40 anni è diventata un’arma imprescindibile per ogni squadra, oltre che nella NBA, che militi in Serie A o in Eurolega. Ma non solo, nel nostro Paese, è ormai diventata consuetudine allenarlo fin dal livello giovanile.

Tornando alla storia del tiro da tre, negli anni Ottanta e Novanta, come detto, erano prerogative delle guardie. Ma intorno agli anni 2000 qualcosa è cambiato: già nella stagione 2001/02 c’era stato un netto aumento dei tiri da 3 presi dai centri, tutto a discapito delle guardie che per la prima volta scendono sotto quota 50%. Da quel momento in poi i centri non sono mai scesi sotto il 13%. In quegli anni sui campi italiani giocavano centri (o ali/centri) come Garbajosa, Tusek, Smodis, giocatori che avevano mani dall’arco. Insomma si stavano diffondendo nel nostro campionato i centri atipici per l’epoca, ossia centri che non si limitavano al gioco in area, ma erano pericolosi anche oltre l’arco.

Matjaz Smodis

Insomma, in quegli anni stavano avvenendo i primi cambiamenti che hanno portato alla pallacanestro odierna, fatta di spaziature molto larghe dove il tiro da 3 punti risulta un’arma imprescindibile per liberare l’area. La presenza più consistente di centri e ali forti sull’arco spiega anche il crollo dei tiri liberi e la stabilizzazione dei tiri da 2 punti: avendo meno giochi in post o in prossimità del canestro, si verificano meno situazioni di fallo su tiro. Nel basket degli anni ’80 e ’90 buona parte dei punti di centri e ali forti veniva proprio dai viaggi in lunetta dopo falli subiti in area: essendo meno presenti in area, venivano meno i viaggi in lunetta. Discorso simile per gli esterni, che in un’area meno affollata subivano meno contatti e quindi meno falli.

Gregg Popovich

C’è ancora chi dice “no”  Se oggi come si è visto, il tiro da tre, al suo quarantesimo anno, è diventata un’arma dalla quale nessuno vuole più prescindere, c’è anche qualcuno che si dice contrario. Si tratta di Gregg Popovich, head-coach dei San Antonio Spurs, Valerio Bianchini e Dan Paterson. Durante una recente intervista l’allenatore degli Spurs ha espresso il suo grande disappunto a proposito della crescente dipendenza delle squadre NBA dal tiro da 3 punti: “Tutti tirano da dietro l’arco, il gioco si basa spesso e volentieri solo sulle percentuali e dalla mole di tiri da dietro l’arco. E’ un aspetto del basket moderno che odio, non potrò mai concepirlo! Questa non è pallacanestro secondo me. Sembra tutto un circo: ma allora perché non mettiamo come nuova regola anche un tiro da 5 punti e uno da 7 punti? Penso che io sia uno dei pochi allenatori che la pensano in questa maniera, sono consapevole di essere un coach… romantico”.

Dan Peterson

Il coach americano Dan Peterson (che ha allenato in Italia per decenni), come è nel suo costume, è perentorio: “Il tiro da tre punti ha rovinato il basket”. Lo ha detto durante un incontro conviviale organizzato a Pesaro. Tante le differenze tra il basket di allora e il basket odierno: “Mi piaceva molto di più la pallacanestro degli anni ’80 rispetto a quella di oggi: le squadre avevano diverse soluzioni offensive, ogni match era un rebus. Secondo me il tiro da tre ha rovinato il basket. All’Hangar di Viale dei Partigiani si respirava un grande ambiente: la gente era vicinissima al campo”.

Valerio Bianchini

Valerio Bianchini è l’unico allenatore di basket ad aver vinto tre scudetti con tre squadre diverse: Cantù, Roma, Pesaro. Memorabile lo scudetto vinto con Roma nel 1983 con Larry Wright playmaker. “Non sono per un basket dove l’unica cosa che conta è far canestro e prendere rimbalzi. Il basket, un gioco aperto che si svolge al coperto, ha sempre favorito evoluzione e rinnovamento, non come il calcio sempre uguale a sé stesso. Invece ora si è fermato. Ricordo quando Bill Bradley a metà anni 60 arrivò a Milano, prima di allenarsi faceva stretching, parola a noi sconosciuta, i vecchi lo prendevano in giro: questo sta sempre sdraiato, non vuole faticare, altri dicevano che doveva solo sgranchirsi dopo il viaggio aereo. Gli ho visto fare prima della partita una cosa che nessuno fa più: iniziare a tirare da sotto canestro, poi facendo un passo indietro, poi un altro, fino a dieci passi. Metteva a punto il suo meccanismo, ma oggi c’è il tiro da tre, con quello si risolve tutto. Posso essere contro? Mi annoia. Era un gioco da 5 contro 5, con il pick and roll è diventato un confronto a due”.

E il futuro? I 40 anni della “Tripla” proseguiranno, molto probabilmente per altri 40, e ci sarà sempre chi esalta il tiro da tre e chi lo critica. Poi, non si sa mai. Potrebbe arrivare la regola, come dice provocatoriamente Popovich che porterà il tiro da 5 e da 7 punti. Ma questo è fantabasket. Intanto gioiamo o piangiamo per quello che abbiamo.

Fabrizio Rappini

 

Sono un giornalista professionista e ho lavorato alla Gazzetta di Forlì e poi al Corriere Romagna. Ho collaborato con diverse testate e mi sono occupato di sport e cronaca nera e giudiziaria.

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