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La storia di Ben, in fuga dalla guerra

di | 2019-06-02T06:28:32+02:00 2-6-2019 6:00|Attualità, Sezione 1|0 Commenti

NAPOLI – La storia universale ha sempre visto negli anni la contrapposizione tra oppressi ed oppressori. Fino a quando non si riuscirà a distribuire in modo equo le risorse sulla Terra, la diatriba tra ricchi e poveri non cesserà. I popoli oppressi dalla carestia e dalle guerre, giostrate dai potenti di turno, annaspano, rischiano la propria vita in cerca di una dignità del vivere, spesso mettono a repentaglio la vita stessa perché mossi dalla ricerca di una serenità e di una felicità terrena, come tutti istintivamente ricerchiamo. La soglia della felicità cambia di livello a seconda della situazione di partenza. E la politica che nell’Ars di origine sarebbe risolutiva di problematiche per un bene comune (da quella globale a quella nazionale) è solo ricerca di consensi da una parte all’altra con conseguenti strumentalizzazioni. La questione migranti è tornata alla ribalta come guerra tra fazioni, tra organizzazioni ed associazioni come se la vita umana fosse appannaggio solo di una élite e non una priorità ecumenica. Ed in mezzo ci sono loro: i migranti che in realtà hanno un volto, un nome e una storia da raccontare.

Ben oggi ha 29 anni e da 9 mesi è in Italia, il suo paese di provenienza è il Mali nell’Africa sub-sahariana. Viviamo un tempo  in cui le distanze si sono avvicinate, ma non per tutti visto che Ben ci ha impiegato ben tre anni a compiere quel viaggio.

Lascia la sua città, Gao, nel 2015, non certo per un viaggio di piacere: fugge dalla guerra, i ragazzi della sua età morivano ogni giorno e lui ,per non essersi conformato ai fondamentalisti arabi, viene imprigionato: per 6 mesi vive in una stanza con 100 persone, giovani ed adulti insieme. Una notte in cui alcuni hanno tentato di fuggire, Ben viene colpito a sangue in testa. Poi riesce a fuggire senza avere una meta. L’autista algerino di un camion lo porta ad Algeri dove rimane per un anno e mezzo, sebbene senza documenti riesce a trovare lavoro in un cantiere. Quindi si trasferisce in un’altra città ai confini della Libia e successivamente arriva a Tripoli nel 2018.

Non conosce nessuno e, adescato da un uomo in cambio di un lavoro, viene letteralmente comprato da una persona che gli intima di lavorare la campagna per lui: la minaccia è molto convincente perché l’aguzzino è armato di tutto punto e certo non esiterebbe ad usarle quelle armi… Vi rimane per 6 mesi lavorando tutti i giorni per un numero infinito di ore in cambio di cibo distribuito nemmeno quotidianamente. Nel mese di giugno, approfittando di scontri tra le milizie rivali, Ben con alcuni suoi compagni scappa e dopo un lungo cammino approda in un villaggio. In tasca ha pochissimi soldi e per poter partire deve accontentarsi di un barcone malridotto: con lui ci sono altre 120 persone, tra cui una decina di donne (una è incinta) e 4 bambini. Un giorno e mezzo in mezzo al mare senza cibo né acqua.

Finito il carburante, insieme ad altri due barconi, vive momenti terribili col terrore di dover tornare indietro. Invece  avvistano una nave che per fortuna era della Marina italiana. Lacrime di gioia per essere sopravvissuti lasciandosi dietro tre morti (una donna e due ragazzi) e dopo aver assistito al parto della donna incinta. Dopo quattro giorni di viaggio approdano a Catania. Da lì Ben trova accoglienza a Napoli, precisamente a San Giovanni a Teduccio dove attualmente risiede con altre 40 persone. Da ottobre frequenta la scuola di italiano presso la Comunità di Sant’Egidio nel centro storico di Napoli. Per Ben imparare l’italiano è fondamentale per integrarsi e per poter lavorare. Qui nella comunità ha conosciuto finalmente cosa vuol dire essere accolti, rispettati, amati, la gratuità di un aiuto fraterno come dai suoi insegnanti Gerardo e Francesco. Finalmente Ben ha potuto riaccendere una speranza di una vita in famiglia e in pace perché chi non conosce la guerra da vicino non può fino in fondo capire il valore e la ricchezza della pace, tolta ogni parvenza di retorica.

Ben racconta in italiano la sua storia ai docenti dell’Erasmus provenienti da Croazia, Romania, Polonia e naturalmente Italia a testimoniare che l’Europa unita deve farsi carico dei meno fortunati e lavorare insieme per una integrazione sostenibile fuori degli orpelli e sigle partitiche se non quelle del valore umano che ci accomuna tutti.

Ben è un uomo ormai,  ha vissuto tante atrocità, ma la più dolorosa è senza dubbio quella di aver dovuto troncare ogni rapporto con i propri cari di cui non ha più notizia. Lo sradicamento dalle proprie radici e dalla propria terra è una ferita aperta che non potrà risanarsi neanche attraverso la più riuscita delle integrazioni in un paese diverso dalla terra natia. Semplicemente perché  non è scaturito da una libera scelta.

Angela Ristaldo

Nella foto di copertina, Ben racconta la sua storia agli insegnanti dell’Erasmus

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