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Il cellulare è rotto? No, ma va cambiato

di | 2018-11-01T09:34:27+01:00 4-11-2018 6:15|Attualità, Sezione 4|0 Commenti

ROMA – Sicuramente capita a tutti di dover sostituire, prima o poi, un elettrodomestico, il computer o il cellulare. Di solito ciò accade perché il bene con l’uso si deteriora e con il passare del tempo viene, per forza di cose, soppiantato da un prodotto più moderno, più tecnologico, in pratica invecchia e diventa obsoleto (termine che deriva dal verbo latino “obsolesco” che significa “cadere in disuso, perdere di pregio”). La speranza, ovviamente, è che tutto ciò accada più “poi”  che “prima” rispetto al momento dell’acquisto del bene stesso.

Fu circa cento anni fa, e precisamente nel 1924, che le principali aziende produttrici di lampadine ad incandescenza fecero cartello per ridurre la durata della luce a 1000 ore rispetto alle precedenti 2500 a cui i consumatori erano abituati. Quello standard internazionale stabilito appunto dal “cartello di Phoebus” segnò l’inizio dalla tecnica voluta dalle aziende per ridurre, deliberatamente, la durata di funzionamento di un prodotto garantendosi il ricambio con prodotti di nuova generazione: un fenomeno che il consumismo ha visto crescere in molti ambiti commerciali.

Successivamente nel 1933, un immobiliarista americano tale Bernard London, avanzò addirittura una proposta di legge affinché tale pratica diventasse la soluzione per incentivare i consumi ed affrontare così la crisi economica provocata dalla grande Depressione mentre, sempre nello stesso periodo, l’azienda chimica Dupont  si trovò a dover indebolire le fibre di nylon che stavano sostituendo quelle di seta nella confezione delle calze da donna perché troppo resistenti. Insomma, per assicurare le vendite i collant non potevano essere indistruttibili.

Per “obsolescenza programmata” si intendono quindi tutte quelle pratiche e tecniche atte a ridurre, in modo deliberato, la durata di un prodotto per anticiparne la sostituzione con uno nuovo e tutto ciò a sfavore del consumatore ma a favore di un mercato sempre più consumistico.

Giova ricordare che contro questa pratica, recentemente, si sono pronunciate sia le istituzioni europee che i governi nazionali. La prima nazione europea  che ha vietato ufficialmente questa pratica è stata la Francia mentre la Commissione Europea ha emanato  la direttiva sull’Ecodesign – recepita in Italia nel 2016 – che chiede ai produttori di aumentare le strategie di ecoprogettazione che favoriscono l’aumento della vita media dei prodotti, che ne rendano possibili le riparazioni e che ne permettano gli aggiornamenti tecnici.

È  di questi giorni la notizia che l’Antitrust ha condannato Apple e Samsung ad una multa rispettivamente di 10 e 5 milioni di euro per le motivazioni che si leggono nella nota esplicativa: “A seguito di due complesse istruttorie – spiega l’Antitrust –  l’Agcm  ha accertato che le società del gruppo Apple e del gruppo Samsung hanno realizzato pratiche commerciali scorrette in violazione degli articoli 20, 21, 22 e 24 del Codice del Consumo in relazione al rilascio di alcuni aggiornamenti del firmware dei cellulari che hanno provocato grandi disfunzioni e ridotto in modo significativo le prestazioni, in tal modo accelerando il processo di sostituzione degli stessi. Tali società hanno infatti indotto i consumatori – mediante l’insistente richiesta di effettuare il download e anche in ragione dell’asimmetria informativa esistente rispetto ai produttori – ad installare aggiornamenti su dispositivi non in grado di supportarli adeguatamente, senza fornire adeguate informazioni, né alcun mezzo di ripristino delle originarie funzionalità dei prodotti”.

Una decisione storica che apre nuovi scenari e che ha reso particolarmente soddisfatte le organizzazioni dei consumatori Altroconsumo, Codacons, Federconsumatori e Unione Nazionale Consumatori che avevano denunciato le due società e che stanno valutando l’opportunità di intraprendere nei confronti delle stesse, un’azione legale risarcitoria collettiva a favore degli utenti danneggiati.

Da parte sua la Samsung  ha rilasciato una breve nota in cui dichiara che “la soddisfazione dei propri clienti è obiettivo primario, strettamente legato al proprio business. Samsung non condivide la decisione presa dall’Agcm  in quanto la società non hai mai rilasciato aggiornamenti software con l’obiettivo di ridurre le performance del Galaxy Note 4. Al contrario Samsung ha sempre rilasciato aggiornamenti software che consentissero ai propri utenti di avere la migliore esperienza possibile. L’azienda si vede quindi costretta a ricorrere in appello contro la decisione presa dall’Autorità”. Non risulta che, al momento, la Apple abbia rilasciato dichiarazioni in merito alla spinosa vicenda ma, probabilmente, anch’essa avrà tutto l’interesse a chiarire la sua posizione nelle sedi opportune.

Silvia Fornari

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