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Alla fine “Andrà tutto bene”: crediamoci davvero

di | 2020-03-20T19:07:23+01:00 22-3-2020 6:20|Attualità, Sezione 5|0 Commenti

VITERBO – Tutti a casa. Era il titolo di un film con Alberto Sordi che raccontava il ritorno di alcuni soldati dopo la guerra, un momento fortemente desiderato per anni e reso amaro dalla sconfitta subita. Il nostro Albertone aveva saputo descrivere da par suo quello stato d’animo intriso di amarezza, delusione, ma anche speranza. Ora invece è la parola d’ordine di tutta un’altra storia. Ha sempre a che fare con una battaglia, ma molto diversa. Combattuta senza armi da fuoco, contro un nemico che non si fa vedere e sa insinuarsi tra le nostre fila e che ci costringe a stare tra le mura domestiche per decreto, per paura o semplice buonsenso, trovandoci a mani nude contro un male sconosciuto che avanza: il coronavirus.  Ci si ferma e ci guardiamo intorno. Gli sguardi che incrociamo per strada, nelle poche (pochissime) uscite di questi giorni, trasmettono insicurezza e timore: strade vuote, saracinesche abbassate, scuole chiuse.  E’ pandemia! Mai vista una cosa simile. Nessuno lo avrebbe immaginato, nemmeno nei peggiori incubi.

Tutto si è fermato: cultura, sport, teatro, spettacolo, cinema, pubblica amministrazione. Non ci sono più né mercatini rionali né manifestazioni di alcun tipo, abbiamo dovuto dire addio anche al nostro amato caffè al bar sotto casa. Niente file per le strade, parcheggi vuoti e nessuna coda in giro. L’unica fila che si affronta è quella al supermercato dove le code sono tutt’altro che caotiche e confuse. In pochi giri di orologio, la vita e la comunicazione sono cambiate. Lo svilimento si avverte proprio fuori dalle mura di casa dove alla guida delle poche autovetture, ci sono volti mascherati. Le pattuglie in città si moltiplicano e in tasca oltre a chiavi e portafoglio c’è anche l’autocertificazione. Se per strada con gli amici ci si limita ad un cenno con la testa o un semplice sorriso, in casa ci si stringe forte nel desiderio di rimanere uniti e nella speranza di rivivere quella quotidianità ritrovata. Il nucleo familiare si restringe a tal punto che anche l’incontro con nonni e zii diventa un pericolo: ci salvano le videochiamate. Stiamo scoprendo un modo diverso e di vivere di lavorare che cambierà definitivamente la nostra società. Siamo in modalità “smartworking” e le nostre case sono diventate all’improvviso il nostro ambiente di vita ma come ce la caviamo? Un senso di vuoto, di smarrimento.

Spaventati di fronte alla necessità di cambiare le abitudini, sorpresi dalle novità, qualche volta incapaci di reagire, incuriositi da nuove possibilità e disposti a sperimentare qualcosa di differente, ora che il tempo libero è aumentato. Ma che fare? Sono “nuovi” gli ambienti in cui vivere seppure li conosciamo perfettamente, ora presentano qualcosa che non avevamo notato e che ci lascia stupiti. Avremo attacchi di panico? Soffriremo di claustrofobia? Certo dovrebbe essere una condizione consueta quella di stare in casa ma fino ad un certo punto. Improvvisamente c’è una dilatazione dei tempi e delle spazi, le misure cambiano. Ci confrontiamo comunque con una dimensione differente. I piccoli riti della giornata come andare al market, comprare il giornale, fare una passeggiata, sono un’occasione per scambiare due parole al di fuori delle relazioni di lavoro, un modo di socializzare. Così sembra tutto più grande, dalla giornata alle stanze pure il bagno, che in sé è un locale non grande, ci sembra più ampio. Tutti lì, nello stesso luogo, per parecchio tempo, a distanza ravvicinata, con usanze stravolte. Da quando non si pranzava tutti insieme, compresi i piccoli dell’asilo, i ragazzi dell’università, il coniuge impegnato fuori? E poi le cene, spesso a dimensione ridotta: chi usciva con l’amico, chi faceva tardi dal lavoro perché c’era stata una riunione improvvisa, chi si era fermato a parlare con qualcuno che non vedeva da parecchio. Prima o poi potremmo avvertire la nostalgia dello smog di strada e del vociare insopportabile dei colleghi di lavoro nelle pause pranzo o sul treno da pendolare.

Sopravvivere nonostante i cambiamenti oppure provare a vivere? A prima vista ci accorgiamo di aver trascurato molte cose come la TV, a cui prestiamo poca attenzione, perché le notizie le leggiamo sullo smartphone,  ma essere davanti alla TV in poltrona è un rituale che già porta una novità quale la  rilassatezza e la tranquillità. Ci sono poi libri e giornali, un mondo da riscoprire: era tanto che non potevamo dedicarci alle “buone letture”, tutto un testo dall’inizio alla fine, sprofondati in poltrona con una tisana in mano, cosa di cui sentivamo la mancanza, e lo dicevamo a tutti, senza fare nulla. Per non dire della possibilità di mettere a punto qualche progetto, cose semplici da mettere in pratica, per dare senso alle nostre giornate. Ci viene in mente che abbiamo conservato molte cose nei cassetti. Ricordi, momenti incantevoli, incontri fantastici, tante delusioni, cose spesso inutili. C’è il cassetto delle cartacce da riordinare, buttando il superfluo o l’inservibile e quell’altro delle foto, da rivedere con calma, per ritrovare le persone con cui abbiamo condiviso un po’ di felicità. Quanto tempo è passato e come siamo cambiati, non abbiamo avuto nemmeno modo di rendercene conto, l’espressione diversa, qualche ruga in più. Nessuno immaginerebbe che c’è pure quell’altro di cassetto di cui ce ne eravamo dimenticati e che contiene una bella risma di carta,forse ingiallita, che ci fa capire che sono trascorsi molti anni. Usavamo la Olivetti lettera 22, veloce e ultra moderna su cui abbiamo imparato anche a picchiettare sui tasti, il primo esercizio tecnologico: mitica e iconica, quella lettera 22.

Il tempo lento che viviamo in questi giorni non è soltanto una rinuncia o un sacrificio, ma segna il cambiamento di molte abitudini che dovremo riuscire a scoprire vivendo tra le mura domestiche, da soli o in compagnia, senza uscire se non per necessità. In attesa che tutto torni come prima, fermiamoci con la mente a riscoprire le nostre qualità migliori: l’energia, la vitalità, la passione per vita. Come? Possiamo cercare, nel ritmo nuovo della diversa quotidianità, le tracce e i segni che nel tempo hanno scavato nell’esistenza, formando una parte così importante della nostra biografia. Per accompagnare gli attuali momenti di permanenza forzata in casa, e darci conforto, cerchiamo di ricordare che in passato i nostri padri hanno affrontato la guerra subendo la disfatta, avendo già perso tutto, a cominciare dalla libertà, trovandosi davanti al compito immane della ricostruzione.

Oggi, in un momento in cui il paese è messo a dura prova, i disegni e le scritte “Andrà tutto bene” e “Ce la faremo” non sono note stonate. Ottimismo insensato? Piuttosto, un augurio sincero, un’espressione di coraggio e fiducia, ora che ce la stiamo mettendo tutta. Possiamo dirci serenamente che stiamo reagendo a dovere. Un po’ è motivo di orgoglio? Certo che si, anche questo ci può dare forza: ne abbiamo proprio bisogno.

Adele Paglialunga

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