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Sicilia amara, anche Federica emigra

di | 2018-10-28T07:06:04+01:00 28-10-2018 6:00|Attualità, Sezione 1|2 Comments

ENNA – Anche Federica è partita. Nel suo profilo Facebook ha postato una foto dall’aeroporto di Catania e ha scritto: “Vado a Torino”. Poi ancora: “Coraggio”. Una sola parola per consolarsi e consolare.

Federica è una giovane donna, dai profondi occhi neri, dal sorriso largo e genuino, che ha speso la sua vita a studiare e formarsi. Federica ha un sogno, che poi è il sogno di tanti giovani meridionali: lavorare. Un sogno che nella Strabuttanissima Sicilia, come ama definirla Pietrangelo Buttafuoco, si appresta a diventare utopia. E allora resta un’ultima speranza: emigrare, andare via…

Un viaggio che metaforicamente richiama il volo di alcuni uccelli verso luoghi che ne garantiscano la sopravvivenza.

I giovani emigrano per non morire. Morire di noia, di inettitudine, di depressione. Chi resta, se resta, lo fa perché non ha i soldi per partire e aspetta il concorso o le elezioni amministrative perché non si sa mai ci esce anche un posto, magari un turno ai servizi di Cantieri e se si ha un po’ di fortuna si può anche prendere la disoccupazione e farsi tre giorni di campeggio al mare.

Nel meridione, il novello inoccupato aspetta pazientemente una proposta di lavoro, un part-time, una giornata di lavoro anche a nero. Aspetta invano. Nel frattempo si fa giorno e si fa sera, si fa estate e si fa inverno e un bel mattino si sveglia con l’angoscia che il tempo sfugge, che al bar non troverà più i suoi quattro amici e che l’ultima banconota da 5 euro investita alla slot machine non l’ha reso milionario, anzi. Adesso non sa più a chi scroccare un’altra sigaretta e non può più strombazzare con il motore perché è a secco da più di una settimana e la nonna non ha ancora preso la pensione.

Lo sventurato, intanto, pensa che questa non è più vita, che non ha senso studiare e neanche andare a votare, tanto i politici fanno sempre gli interessi della casta. Il siciliano, così come il calabrese o il napoletano sente che la sua terra è matrigna, che non ha frutti per lui. Ha dimenticato o forse non l’ha mai saputo che invece un tempo, ormai lontano, era luogo privilegiato di conquista, luogo di storia e di cultura, di ricchezza e di nobiltà. Un tempo. Ora la Strabuttanissima Sicilia è terra di povertà e desolazione, di spazzatura e scorie. È terra di vecchi e di vinti, di immobilismo e rassegnazione.

Federica, intanto, è arrivata all’aeroporto Caselle di Torino e sul suo profilo Facebook scrive: “Nuova vita”. Poi ancora: “Coraggio”.

A Leonforte, nella poverissima Enna, mentre il rumore dell’acqua della Granfonte scorre incessante da quasi quattro secoli, ignorando che oltre un migliaio di giovani non toccherà più il suo suolo, Rosario va a raccogliere lumache perché la pioggerella di ieri ne farà uscire tante e magari potrà venderle all’angolo del mercato e tornare a casa con una banconota e, attendendo che arrivi la casalinga a comprarle, pensa che con le lumache potrebbe crearci un allevamento, una piccola impresa, aiutandosi con i Fondi europei. Perché no? Di fatto, c’è chi spera ancora che nel Sud si possa vivere e cambiare.

Tania Barcellona

2 Commenti

  1. Gigi 10 ottobre 2019 at 16:14 - Reply

    Purtroppo, per tutto il Sud è la sacrosanta verità.

  2. Mary 11 ottobre 2019 at 21:07 - Reply

    Rimane anche chi lavora in questa maledetta Sicilia e spero che ci siano più persone come Rosario .. con tanta voglia di lavorare…….

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