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La parola pace non si scrive con le armi

di | 2019-10-11T17:58:35+02:00 13-10-2019 6:05|Attualità, Sezione 2|0 Commenti

NUORO – Luigi è un ragazzo nato il 31 dicembre del 1997. All’età di sei anni frequenta regolarmente la prima elementare, impara a leggere, scrivere e contare come tutti i bambini della sua età. Conosce la storia e la geografia e si incuriosisce per tutto ciò che è a lui ignoto. Fa amicizia con i bambini ed è motivo di orgoglio per i genitori. Terminate le elementari inizia a frequentare la scuola media, e qui le cose un po’ cambiano. Capisce che studiare non gli piace poi così tanto, ma decide di tenere duro. Supera l’arduo triennio delle medie e arriva alla fatidica scelta delle scuole superiori. Confuso dalle infinite ore di orientamento sceglie un istituto tecnico e anche qui stringe i denti. Conosce la pallacanestro, trova “la sua squadra”, quella dei Sirbones, nuovi amici e forse qualcosa di più. A scuola le cose potrebbero andare meglio ma anche se a fatica riesce ad ottenere il diploma.

E’ confuso, non sa che fare e decide di prendersi il cosiddetto anno sabbatico. Ragiona, valuta e così giunge ad una conclusione, partire come volontario nell’esercito. “Vado volontario – pensa Luigi – non ho altre possibilità e poi mi pagano anche”. Terminata l’estate parte. Lascia a casa i genitori, due fratellini più piccoli, un cane e la ragazza. Tre mesi di addestramento e poi a lavorare da qualche parte, fino alla sconcertante possibilità delle missioni. Luigi finalmente sembra contento. Mostra con orgoglio le foto che lo ritraggono durante il giuramento in divisa. Racconta con euforia dell’addestramento, dei poligoni e dei compagni. Quando riceve il suo primo stipendio è fiero di essere diventato quello che è. Ora lavora poco distante da casa e vi ci torna ogni fine settimana. Porta la mimetica da lavare, fidandosi solo di come fa il bucato la mamma, e non toglie più dal collo la piastrina di riconoscimento. E’ un soldato a tutti gli effetti e aspetta solo l’occasione per partire in missione.

Pensa al futuro, a costruirsi una famiglia con la ragazza che ama, ma pensa anche ai pericoli e ai rischi. Non lo spaventano però, ha ormai acquisito la mentalità del soldato. La guerra non è un problema per lui, è disposto ad affrontarla. La storia di Luigi è solo una delle tante. Numerosissimi sono i ragazzi e le ragazze affascinati dalla divisa, che prendono la via dell’esercito perché hanno poche prospettive per il futuro o non trovano altra via d’uscita al nulla, al bar sotto casa, alla noia. Terribile vedersi costretti a fare il soldato per ottenere la sicurezza di un posto fisso e uno stipendio mensile. Terribile avere la consapevolezza di quello che si fa, perché, non tergiversiamo, a parte l’onore e la gloria per la patria, sei e sarai sempre un soldato e il tuo mestiere è fare la guerra.

Ad oggi l’Italia è impegnata in 29 missioni in 20 Paesi. In testa, per numero di soldati e risorse economiche impiegati, c’è l’Iraq dove nostri contingenti sono operativi per l’addestramento delle truppe irachene. Che si definiscano missioni di pace o di guerra la differenza è poca. Fatti come quello accaduto a Nassiriya insegnano che, nel momento in cui si va in un paese straniero in missione di “pace”, se ci si presenta equipaggiati in assetto da guerra si verrà sempre visti come invasori. Basta usare parole come democrazia, aiuto umanitario, o utilizzare espressioni della portata di “noi stiamo costruendo la pace”. Con le armi? No.

Spaventa l’idea che un lavoro che dovrebbe essere fatto con passione e per un fine ben preciso diventi un ripiego. Scegliere l’esercito perché la società non offre niente ai nostri giovani è una cosa di uno squallore inaudito. Una soluzione c’è sempre per tutto, anche in questo caso occorre adoperarsi per trovarla. Sicuramente viviamo in una società che non lascia ai ragazzi molte alternative, ma le alternative si possono creare. Volere è potere, basta un po’ di buona volontà e, perché no, un pizzico di inventiva che non guasta. Con questo non si vuole negare il rispetto verso chi, nei secoli, ha combattuto per costruire un mondo migliore, ma oggigiorno si potrebbe fare altrettanto deponendo le armi a aprendo tavoli di discussione. Diceva Benedetto Croce che “la violenza non è forza ma debolezza, né mai può esser di alcuna cosa creatrice, ma soltanto distruttrice”.

Virginia Mariane

Amante del buon cibo, di un libro, della storia, dell’archeologia, dei viaggi e della musica

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