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Venezia, i Tetrarchi di S. Marco resistono al tempo

di | 2020-12-19T09:24:24+01:00 13-12-2020 6:45|Cultura, Sezione10|0 Commenti

ROMA – Sono lì ad altezza d’uomo e a memoria d’uomo (moderno), murati all’esterno dell’angolo destro della Basilica di S.Marco a Venezia: sono i Tetrarchi in porfido rosso, durissima pietra che si estraeva in Egitto, dove soltanto poi si riusciva a lavorarla. Simbolo della potestà universale degli Imperatori di Roma, il porfido conserva ancora quella sempiterna della casata di Federico II di Svevia, nei sarcofagi reali serbati nella Cattedrale di Palermo. Ma il loro simbolismo nasce nel gruppo dei Tetrarchi (293-303 dopo Cristo), rappresentanti a tutto tondo i due Cesari e i due Augusti, che nella tarda romanità impersonarono, divisi per territori, il potere di Roma in Oriente e in Occidente.

In particolare nel gruppo di Venezia sono ritratti i due Augusti Diocleziano e Massimino, e i due Cesari Galerio e Costanzo Cloro, secondo lo schema tetrarchico. I due dinasti, abbracciati per rappresentare l’unione dei poteri, si trovavano nel Philadelphion di Costantinopoli, da cui furono asportati nel 1204, durante il terribile sacco della città, seguìto alla quarta Crociata, e da qui portato a Venezia, insieme coi quattro meravigliosi Cavalli di bronzo dorato, certamente ellenistici, ora posti guardandosi a coppie sulla facciata della basilica S.Marco. L’opera in porfido invece non ha la bellezza greca dei celebri Cavalli, possedendo invece i caratteri tipici dell’arte barbarica, brutalmente espressionistica ed astratta, ma con una valenza simbolica altissima, trasmessa dalla durezza del modellato di ascendenza orientale e sassanide, allusivo – anche nella fissità degli occhi – all’eternità dell’Impero (e tuttavia vi affiorano tracce di realismo romano, nei volti barbati e corrugati).

Il potente blocco ha un gemello, dalla modellazione ancor più semplificata e rozza, nei Tetrarchi del Museo Vaticano (stabilizzati per loro fortuna in una grandissima sede museale): ma la forza che emana dal primo blocco scultoreo – ineguagliabile rappresentazione astratta della potenza di Roma nel tardo Impero – è enorme. Ed il punto è questo: non dovrebbe tale opera essere posta – non per la bellezza formale, ma per la valenza simbolica e il significato storico – in luogo protetto e non esposto allo scorrimento turistico di piazza S.Marco, senza nemmeno ringhiere di protezione, alla mercè di tutti? Dinanzi ai petrigni Tetrarchi, che né le guerre, né il tempo, né il vento e la salsa aria marina hanno ancora corroso, fa stringere il cuore pensare che, nell’era dell’iper-scienza, della tecnologìa (ma anche ahimè del fanatismo religioso), il loro futuro sarà molto più breve del millennio e dei secoli da loro già olrepassati, nell’immobile silenzio dell’atemporalità.

I bassorilievi antichi di Montepulciano Luogo improprio anche per altri pezzi archeologici, iscrizioni sepolcrali romane, bassorilievi floreali, testine apotropaiche, dinanzi al settecentesco Palazzo Bucelli lungo il Corso al n.81 a Montepulciano. Nel secolo XVIII, il proprietario Pietro Bucelli, collezionista di antichità dell’area di Montepulciano e Chiusi, per una collocazione definitiva delle sue raccolte, ne fece dono al Granduca di Toscana, ma non prima di averne trascelte alcune, che fece murare sul basamento del proprio Palazzo, in una disposizione a tappeto su tre strati, assai decorativa, ma anche pericolosamente collocata ad altezza d’uomo. Destinata alla delizia degli appassionati, anche di opere minori, questa disposizione mette però a rischio la loro incolumità, qui al futile riparo di una bassa transenna lignea. Ahimè, dannosa è sempre stata la concezione decorativa, estetizzante e mercantile dell’arte, i cui reperti nella Villa Bocelli di Montepulciano, anche nella colpevole assenza dello Stato, è ammirevole che la gente rispetti ancora.

Paola Pariset

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