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Fra Theodora e Guido un amore contrastato

di | 2022-02-06T10:51:26+01:00 6-2-2022 6:35|Cultura, Sezione 8|0 Commenti
PERUGIA – Non solo si erano promessi sposi a voce, ma addirittura con tanto di documento redatto davanti a due testimoni, che avevano sottoscritto l’atto. Ma non servì a nulla: la ferma, indissolubile contrarietà delle rispettive famiglie, originate da motivi diversi, ebbero la meglio e la contessa Theodora Stivivi vedova Battaglini (1599-1682) e il pittore Guido Cagnacci (1601-1663) vissero divisi per sempre ed ogni tentativo per riunirsi di nuovo venne rintuzzato e respinto.
La bella nobildonna si era sposata a 24 anni ed aveva perso ben presto l’anziano e facoltoso marito (un sessantenne). Rimasta vedova, pare abbia coltivato una relazione con un pescatore, Gian Paolo Segantini, che venne incarcerato e che rischiò persino di essere ucciso dagli sgherri dei familiari della contessa. Tre anni più tardi quando Theodora incontrò l’artista, di un paio di anni più giovane, la scintilla della passione scoccò immediata per entrambi. I congiunti di Theodora, sia quelli della casata di origine, sia quelli della famiglia acquisita, si opponevano, tuttavia, senza riserve e con ogni mezzo all’unione per motivi soprattutto economici (in pratica la contessa, che aveva una figlioletta, era una ricchissima ereditiera); il padre del pittore non sopportava, invece, l’idea che il figlio si legasse ad una vedova, più grande d’età e di ceto superiore.
La coppia di amanti pensò di poter superare gli ostacoli con un documento ufficiale, in cui la contessa dichiarava: “A dì 20 ottobre 1628. Io, Theodora Battaglini mi obbligo e mi dichiaro di non voler altra persona che Guido Cagnacci per mio legittimo marito, così gli prometto e sono contenta. Io, Theodora Battaglini, mi obbligo quanto sopra e la presente polizza è scritta e sottoscritta di mia man propria”. A seguire la dichiarazione del Cagnacci (“Io, Guido Cagnacci, accetto quanto ha scritto la signora Theodora Battaglini degli Stivivi nella presenta polizza”) ed in calce le firme dei due testimoni (Bernardino Caffarelli e Domenico Fabbri). Il tutto avrebbe dovuto concludersi con un matrimonio segreto ed una “fuitina”, tanto che per due giorni la nobildonna, la figlia ed una serva erano state ospitate in casa Cagnacci, con la complicità della madre di lui (ed all’insaputa del padre).
Tuttavia il disegno non andò in porto. La notte tra il 21 ed il 22 ottobre 1628 per i due appassionati amanti tutto filò storto. Intanto sulla zona – siamo in borgo San Bartolo a Rimini, in Romagna – si abbattè un furioso nubifragio che rallentò, per il fango, le operazioni di fuga e prima ancora per il ritardo dei cavalli, provenienti da Sant’Arcangelo e che avrebbero dovuto tirare la carrozza dei fuggitivi, nel giungere sul luogo dell’appuntamento. A tutto questo si aggiunse la denuncia che il padre dell’artista, venuto a conoscenza della progettata fuga, presentò a padre Tommaso da Carpegna. La reazione delle famiglie Stitivi e Battaglini fu immediata, nonostante l’infuriare del maltempo. La contessa venne fatta arrestare su segnalazione dei parenti dal bargello Flavio Ferri e dai suoi sbirri e rinchiusa nel convento delle Convertite (un reclusorio per “femmine di malavita”) con l’accusa di aver mancato al suo stesso onore; il pittore, invece, riuscì a scampare alla caccia nascondendosi nella chiesa dei Carmelitani. Invano la vedova inviò, in Romagna ed in Vaticano, missive a vescovi e cardinali sostenendo che era vittima “di interessi di robba, per privarmi dell’amministrazione dell’eredità del mio defunto marito”. Inutili le suppliche e la ferma contestazione delle accuse (“frivole”, “vane” “calunniose”) dei parenti. Troppo forti si dimostrarono le “entrature”, sia a livello civile, sia religioso, delle due potenti casate.
Theodora, ricattata, poté uscire dal convento solo a patto che sposasse un nipote di dieci anni più giovane di lei, il conte Vincenzo Ricciardelli (1609-1648), in modo tale che l’eredità rimasse legata ai ceppi familiari. Il pittore, anche lui senza ottenere alcuna soddisfazione, tentò – fino all’ultimo – di godere quanto meno dei beni economici previsti dalla polizza “liberamente stipulata”.
Guido, pur non sposandosi mai, otto anni più tardi (1636) si legò per un paio di lustri a Giovanna – orfana di un muratore Serravalle, tale Sebastiano – che, per non destare sospetti e scandalo, lo seguiva vestita da uomo, come fosse un allievo (e che, tra l’altro, gli aveva donato i suoi beni con tanto di atto notarile). Più tardi (1647) l’artista riparò a Venezia – sotto la falsa identità di Guido Ubaldo Canlassi di Bologna – e qui si accompagnò ad una seconda compagna – anche lei come Giovanna, domestica, amante, modella – di nome Maddalena Fontanafredda di Cesena, del fu Domenico, stabilendosi in una abitazione sita nella parrocchia di San Giovanni in Rialto. Quando il conte Ricciardelli morì (nel 1648) il Cagnacci tentò di riallacciare i rapporti con Theodora e magari di far valere i propri diritti, ma ancora una volta i parenti di lei (gli Stivivi, i Battaglini, ora pure i Ricciardelli), fecero di tutto perché ogni ulteriore tentativo venisse respinto.
Il pittore, chiamato a Vienna dall’imperatore Leopoldo I, si spense in Austria nel 1663. Quasi sicuramente con accanto la fedele Maddalena, ma con ogni probabilità tenendo nel cuore il ricordo di Theodora.
Di lui si scrissero: “Felicis ingenii pictor, sed infelicis fortunae” (pittore di felice ingegno, ma infelice di fortuna). Theodora, che aveva visto morire la figlia di primo letto (spedita in convento fin dall’età di 13 anni, vittima pure lei della battaglia per l’eredità) e che al Ricciardelli aveva partorito altri due maschi, visse fino alla veneranda età di 83 anni. Sospirando fino all’ultimo, forse, per quell’amore contrastato, negato, infranto.
Elio Clero Bertoldi

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