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Padre Pino Puglisi: quale impegno, trent’anni dopo?

di | 2023-10-15T10:21:55+02:00 15-10-2023 5:20|Cultura, Sezione 5|0 Commenti

PALERMO – Su padre Pino Puglisi, a trent’anni dal suo assassinio per mano mafiosa e a dieci anni dalla sua beatificazione da parte della Chiesa cattolica, si può scrivere ancora qualcosa di nuovo e di significativo? Questa domanda se l’è posta la scrivente, unita al timore che si approfittasse della ricorrenza per ripetere il già detto, quando si è trovata tra i testi freschi di stampa anche Padre Pino Puglisi (Il Pozzo di Giacobbe, Trapani, settembre 2023), scritto a quattro mani da Augusto Cavadi, filosofo laico, e da don Cosimo Scordato, teologo cattolico.

La lettura ha dissolto le remore e l’irriverente sospetto: il libro, infatti, fornisce punti di vista preziosi e inediti, utili a promuovere la maturazione umana e spirituale di chi legge e a favorirne un più convinto e rinnovato impegno sociale. A ragione, nella breve presentazione, l’editore sottolinea che il testo a quattro mani risulta “una sorta di dittico che spinge un po’ avanti la riflessione”.

Quali dunque, a grandi linee, le novità e i punti di forza del testo? C’è da evidenziare innanzitutto che il libro non dà di don Pino un ritratto edulcorato, quasi fosse un santino da mettere nel portafoglio; il testo analizza invece in modo rigoroso la sua tragica vicenda per tentare di rispondere alla domanda cruciale del perché un prete ‘normale’, nell’esercizio del suo ministero in una terra tradizionalmente cristiana, sia stato ucciso e perché tale assassinio connoti l’ucciso come beato.

A questo proposito, nella prima parte del libro, Cavadi offre analisi sociologiche convincenti e propone all’attenzione di chi legge la scomoda categoria dei ‘mandanti inconsapevoli’: secondo le fonti giudiziarie e le confessioni di alcuni pentiti, gli affiliati a Cosa nostra sarebbero in Sicilia non più di cinquemila, fiancheggiati però da circa un milione di siciliani e seriamente combattuti da un numero uguale di isolani. E gli altri? Sono loro i cosiddetti ‘mandanti inconsapevoli’: “Restano nel mezzo tre milioni di siciliani: sono la maggioranza, perseguono un’impossibile neutralità e, di fatto, condizionano irrimediabilmente l’esito della partita”. Tre milioni di siciliani, la maggior parte dei quali, se non praticanti convinti, sono comunque cattolici. Dunque, il martirio di don Puglisi attesta “l’acquiescenza di troppa parte del mondo cattolico al sistema di dominio mafioso sino ai nostri giorni”. Infatti, “se tutti i preti di quartiere a più alta densità mafiosa fanno finta di non vedere e di non sentire, appena un prete denunzia diventa bersaglio di esecuzione esemplare (…). È il compromesso di noi ‘maggioranze silenziose’ a rendere pericolose le minoranze critiche”.

A questo proposito, l’autore riporta un’intervista a Luigi Patronaggio, uno dei due magistrati che hanno condotto l’inchiesta sull’assassinio di don Puglisi: “In questa terra disgraziata fare il proprio dovere, affermare la legalità più elementare, praticare le regole della democrazia, spesso significa diventare malgrado tutto un eroe, un eroe piccolo e per caso, come don Pino”.

La diagnosi dell’autore può sembrare dura, ma è purtroppo realistica; l’ultima relazione della DIA denuncia infatti il ‘consensualismo sotterraneo’ di cui gode tuttora Cosa nostra presso ampi settori della popolazione siciliana.

Quali le possibilità per uscire dall’esiziale pantano dell’indifferenza? In primo luogo, la formazione di una ‘morale basica’ o spiritualità laica (necessità di cui era convinto lo stesso don Puglisi): una sorta di alfabetizzazione etica di base, che comprenda il desiderio di giustizia, il rispetto della dignità di ogni uomo, il perseguimento del bene comune. Bisognerebbe capovolgere quello che Cavadi definisce ‘angelismo’: “l’impostazione per cui la vita spirituale di un soggetto si costruisce procedendo dall’alto verso il basso: dalla fede in senso specifico alla religiosità in senso generico sino, eventualmente, a una grammatica di spiritualità umana, antropologica”. La ‘morale basica’, patrimonio ineludibile di ogni buon cittadino, dovrebbe poi essere alimentata da una formazione che favorisca pratiche di ‘legalità integrale’: percorso le cui tappe principali sono la conoscenza critica dei testi fondamentali della convivenza umana, l’esercizio dell’obbedienza alle leggi eque e l’eventuale disobbedienza civile a quelle inique, con conseguente impegno politico per renderle eque, la conoscenza della storia della mafia e dell’antimafia. Chi è inserito nel mondo cattolico, dovrebbe poi incarnare la catechesi (e i preti le loro omelie) nel territorio in cui opera, mentre la Chiesa dovrebbe attualizzare il culto dei santi e avere il coraggio di rivedere criticamente certi gesti di devozione popolare, come, in qualche processione, gli ‘inchini’ delle statue della Madonna o di Gesù davanti alla casa di un boss mafioso.

Nella seconda parte, don Cosimo Scordato riflette sull’uccisione di don Pino da un’ottica teologica: afferma subito che “padre Puglisi è stato ucciso dalla mafia per il modo in cui faceva il prete; la sua fedeltà al Vangelo gli ha fatto comprendere la responsabilità di promuovere una comunità libera da ogni oppressione e aperta alla resurrezione e alla vita; la risposta dei mafiosi ha manifestato, al di là di ogni mistificazione, il suo vero volto di violenza, di oppressione e di morte”.

Sulla base degli studi rigorosi dello storico don Francesco Michele Stabile, don Cosimo analizza la posizione della Chiesa cattolica sulla mafia, dall’unità d’Italia a oggi, evidenziando, grosso modo, tre fasi: la compromissione diretta, la coabitazione e la presa di distanza e la denunzia profetica, ma quest’ultima si è verificata solo negli ultimi decenni, quando una Chiesa più consapevole ha denunziato la mafia come “struttura di peccato” e l’impossibilità di essere cristiani e mafiosi insieme.

Tutto questo don Pino lo aveva chiaro: nella sua parrocchia di Brancaccio, si muove in direzione del servizio, della dignità e della libertà dei suoi parrocchiani, coniugando, da buon pastore, evangelizzazione e promozione umana: “Don Pino ha testimoniato il volto nuovo di Cristo, diverso dal sistema di potere e di morte detenuto dalla mafia; nel suo esempio fulgido è venuto all’evidenza che tra mafia e Vangelo, tra mafia e Chiesa cattolica c’è incompatibilità assoluta”.

Ma i mafiosi continuano a operare con il metodo del dominio e della violenza e “considerano la sua pastorale come un’invasione di campo nel luogo dove sono consolidati la loro presenza e i loro interessi”. “Se la reazione della mafia contro don Pino sfocia nella sua uccisione è perché don Pino si trova a operare coerentemente con la dimensione ‘territoriale’ della sua missione; ogni suo passo ‘pesta i calli’ alla mafia”. “L’annunzio del parroco rende inutile la presenza di un padrino”.

Quando alla prima presentazione pubblica a Palermo del testo, la giornalista Alessandra Turrisi ha chiesto al teologo quale è il significato oggi di aver dichiarato padre Pino martire e beato, don Cosimo ha fornito una risposta spiazzante: “La santità la si vive in vita… non so quale possa essere il senso delle proclamazioni postume: don Pino era già beato nella sua parrocchia di Brancaccio, a Palermo, perché ha preso sul serio le Beatitudini e le ha incarnate nella missione di parroco: Beati i miti, beati i misericordiosi, beati gli operatori di pace, beati coloro che hanno fame e sete di giustizia… ”.

E don Cosimo sottolinea infine che la proposta pastorale di don Pino “imponeva il ripensamento dell’immagine di Dio: l’onnipotenza di Dio va compresa alla luce dell’impotenza della croce e quindi di un amore che è onnipotente, nel senso che è capace di fare tutto per salvare l’uomo… la disponibilità a donarsi diventa dunque il criterio di maturità dell’esistenza cristiana.  (…) La realtà della mafia è all’opposto di tutto questo”.

Ma la comunità cristiana è pronta per questo serio cambio di rotta? Un giornalista siciliano, Francesco Palazzo, amico di don Puglisi, in un articolo in questi giorni si chiedeva: “Se Don Puglisi tornasse oggi nella chiesa di San Gaetano a Brancaccio, belle parole e retorica a parte, concretamente e quotidianamente sarebbe ancora solo nella sua lotta a Cosa nostra dentro la Chiesa palermitana?”.

Le riflessioni di Cavadi e Scordato servono a scongiurare questa terribile, ipotetica solitudine…

Maria D’Asaro

 

Già docente e psicopedagogista, dal 2020 giornalista pubblicista. Cura il blog: Mari da solcare
https://maridasolcare.blogspot.com. Ha scritto il libro ‘Una sedia nell’aldilà’ (Diogene Multimedia, Bologna, 2023)

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