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La gestualità siciliana: una disciplina bizzarra

di | 2018-11-16T13:06:19+01:00 18-11-2018 6:20|Cultura, Sezione 5|1 Comment

ENNA – Davanti al treno Rosalia saluta il suo amato Salvatore che parte per la Germania, a buscarisi lu pani, a travagghiari. Un abbraccio tra i due, un silenzio assordante, un discorso muto fatto di impercettibili ma altrettanto inequivocabili gesti. Il treno parte e, tra lo stridore delle rotaie e il cuore che pulsa nelle orecchie, Salvatore lancia un ultimo messaggio scuotendo la mano destra sul palmo della sinistra per invitare la sua donna a tornare a casa, ‘nte picciriddi, mentre lei con l’indice tira giù l’occhio per amplificarne l’apertura, occhiu vivu, un modo tutto siculo di raccomandargli di stare guardingo, di prestare attenzione. Salvatore porterà con sé la nostalgia e il suo bagaglio di siciliano e di sicilianità in terra straniera. Rosalia, invece, non sa di essere garante, con la sua gestualità , di un patrimonio culturale che ci rende unici al mondo. Un primato che annovera più di 250 gesti, un linguaggio variegato appresso sin dalla culla, semplice e teatrale allo stesso tempo, ricco di sfumature e significati.

 

I siciliani, soprattutto le fasce più umili e meno istruite, tendono a parlare poco o niente, piuttosto gesticolano, smuovono le mani, accartocciano il viso, volteggiano le dita, contorcono la bocca e strizzano gli occhi. Un veicolo comunicativo che affonda le sue radici in un passato lontano, in un avvicendarsi di popoli e culture, in un bisogno di capire e farsi capire e per contro di rendere criptico e indecifrabile il proprio pensiero. Basti pensare all’ambiente mafioso o criminale e al loro repertorio gestuale.

 

Il gesto, dunque, nasce per superare la Babele linguistica e diventa lingua esso stesso. Un linguaggio che resta oscuro ancora oggi a larga parte della popolazione mondiale, affascinati o disturbati da questa vibrazione dei muscoli facciali o dai movimenti più o meno eclatanti delle mani e del corpo. In primis le corna, queste due dita, indice e mignolo, protesi in aria mente tutto il resto è chiuso a pugno.

 

Nel secolo scorso, Pitré si è cimentato nella descrizione e decodifica della gestualità del suo popolo in un un volumetto confluito poi nel corposo testo “Usi e costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano”. Egli così scrive: “Coi gesti si afferma, si nega, si comanda e si ubbidisce, si dispone e si esegue, si prega e si concede, si chiama e si risponde, si loda e si biasima, si carezza e si disprezza fino a comporre interi discorsi”. Uno studio, tuttavia, quello del Pitrè, che si limita al discorso folklorico, intessuto di parole e totalmente privo di immagini, ben lontano dall’approccio scientifico della moderna cinesica.

 

Oggi le movenze dei siciliani sono al centro di numerosi studi, filmati, documentari tali da suscitare interesse e curiosità anche presso le più prestigiose università londinesi e americane. Il professore di questa bizzarra disciplina è un giovane nisseno, Luca Vullo, regista e affabulatore, che in un’intervista racconta di essere diventato insegnante per caso per aver filmato e studiato i gesti tipici del suoi conterranei. La diffusione in rete del lavoro ha mosso l’interesse del regista Richard Eyre che gli ha proposto un workshop pratico di gestualità siciliana in vista della messa in scena di “Liolá” di Pirandello. Da lì il passaggio all’università è stato breve; un effetto domino che lo porta in poco tempo oltreoceano. Un percorso che è volto anche a scardinare pregiudizi, impressioni negative, stereotipi e a rendere amabili questo popolo talvolta, inviso, alla straniera gente.

 

Tuttavia la teatralità gestuale dei siciliani ha avuto la sua cassa di risonanza soprattutto attraverso la letteratura, il teatro e la televisione. Da Verga a Pirandello, da Turi Ferro a Gullotta, da Franco e Ciccio a Ficarra e Picone e per ultimo Zingaretti che, per il suo Montalbano, ha dovuto imparare ancora prima della sintassi sicula e della strascicata danza di vocali e consonanti, gli sguardi, le movenze, quei gesti così prepotenti, vigorosi tali da far dialogare anche nel silenzio. Una lingua dunque monca senza i suoi gesti, senza quel guizzare di mani e di smorfie che ci ha resi un caso singolare nel mondo.

 

Tania Barcellona

 

Nella foto di copertina, alcuni gesti tipici siciliani

 

One Comment

  1. Rosa Valenti 19 novembre 2018 at 17:48 - Reply

    I miei piú calorosi complimenti all´autrice dell´articolo.
    Io da buona siciliana trapiantata in Alto Adige non posso che confermare tutto ció che é riportato nell´articolo.
    Effettivamente, noi siciliani siamo molto “teatrali” non solo i gesti ma anche il nostro linguaggio piú ricco di locuzioni, in buona sostanza molto colorito.
    Questi aspetti li percepisci maggiormente se vivi al Nord, dove magari i tuoi colleghi ti fanno notare i tuoi modi di fare, che definisco naturali e solari.
    Tutti questi aspetti li percepisci solo quando ti trasferisci al Nord e sei orgoglioso e contento di portare la tua sicilianitá altrove.
    Un caro saluto e buon lavoro!

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