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La carabina che uccise JFK uscita dalla fabbrica di Terni

di | 2023-11-24T20:16:23+01:00 26-11-2023 5:25|Personaggi, Sezione 6|0 Commenti

TERNI – Tanti, ed irrisolti, sono i misteri che avvolgono ancora oggi l’assassinio di John Fitzgerald Kennedy (1917-1963) nonostante siano trascorsi ben sessanta anni dai sanguinosi fatti. Il nodo cruciale resta se fu il solo Lew Harwey Oswald, 24 anni, attivista castrista ed ex marines, l’ideatore e l’autore dell’attentato (tesi sostenuta da FBI e dalla Commissione guidata da Earl Warren, nel 1963) o se il sicario sia stato semplicemente l’anello finale di una cospirazione (ipotesi avanzata dalla HSCA, cioè dalla “United States House Select Commitee on assassination”, negli anni Settanta). Rimane oscuro, fosse attendibile questa seconda ipotesi, chi abbia organizzato l’attentato di Dallas: JFK, infatti, pur popolare ed amato, si era fatto molti e potenti nemici sia interni (dai petrolieri, ai razzisti, fino alla mafia; è stato ipotizzato perfino un colpo di stato dietro al delitto), sia esterni.

John Fitzgerald Kennedy, assassinato a Dallas 60 anni fa

Una certezza, invece, fu l’arma, legata all’Umbria. La carabina che Oswald lasciò appoggiata alla finestra del sesto piano, da cui sparò sul corteo presidenziale, del Deposito Libri della Texas School, risultò fabbricata in Italia e precisamente a Terni. Dalla Regia Fabbrica d’Armi della Conca ternana il fucile, un Mannlicher-Carcano mod. 91/38, matricola C2766, era uscito nel 1940, destinato all’Esercito Italiano. Nel 1958 lo Stato si era disfatto dello stock di fucili, finiti attraverso un’asta pubblica alla Western Cartridge co. negli Usa. L’attentatore, a sua volte, aveva acquistato la carabina con la falsa identità di Alex James Hidell, pagando 19,95 dollari, il 20 marzo 1963 e se l’era fatta spedire alla casella postale 2915 di Dallas, intestata al suo vero nome. Sull’arma aveva fatto montare un mirino telescopico (della Ordnance Optics, un 4×18), mentre il munizionamento “parlava” italiano: cartucce calibro 6,5x52mm a punta tonda e dal peso di 10,37 grammi, fabbricate a Pistoia.

Lee Oswald

Quella mattina il corteo presidenziale avanzava lentamente lungo le strade di Dallas, con ai bordi tantissima gente. Sulla limousine scappottata del presidente (una Lincoln Continental, modello SS100X del 1961), con alla guida l’agente Bill Greer, viaggiavano l’agente Roy Kellerman, la signora Idanell Brill, detta Nelly e suo marito John Connally, governatore del Texas, mentre sul sedile posteriore si erano accomodati Jacqueline Bouvier e suo marito, JFK. I colpi – almeno tre o forse quattro – vennero esplosi in rapida successione alle 12.30, ora locale, di quel venerdì 22 novembre 1963 mentre l’auto stava svoltando a destra, alla velocità di 18 km/h, tra Houston Street e Elm Street. Due colpi attinsero il presidente (alla gola ed alla testa, con spappolamento del cervello) ed una delle due pallottole, deviata, ferì seriamente il governatore. Quest’ultimo sopravvisse; Kennedy (che indossava un busto ortopedico per le ferite riportate in guerra), pur condotto prontamente in ospedale (al Parkland Medical Hospital) si spense poco dopo.

La scheggia di uno dei proiettili esplosi arrivò alla guancia anche di un passante, James Teague, causandogli una leggera ferita. Nel frattempo Oswald, che nella fuga dal deposito aveva freddato il poliziotto J.D. Tippit, a colpi di pistola (due al petto, uno alla tempia), si era nascosto in una sala cinematografica, ma invano: segnalato dalla cassiera (era sgaiattolato all’interno senza pagare il biglietto) era finito bloccato ed arrestato da 26 agenti, mobilitati dopo il brutale omicidio del collega. Due giorni più tardi l’ex marines, mentre attraversava i sotterranei della Centrale di polizia di Dallas, con tanto di scorta per il trasferimento al carcere della contea, venne ammazzato, con un colpo di colt all’addome, da Jack Leon Ruby, nato Jacobs Rubenstein, 54 anni, polacco di origine e gestore del “Carousel Club”, locale di spogliarelliste, piuttosto malfamato. Ruby, che sostenne di aver ucciso Oswald per vendicare il presidente, sfuggì alla condanna a morte, ma si beccò l’ergastolo. Morì in carcere nel 1967 per un tumore ai polmoni.

Elio Clero Bertoldi

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