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“Cristo velato”, l’idea del principe massone 

di | 2019-06-01T10:57:48+02:00 2-6-2019 6:10|Arte, Cultura, Sezione 3|0 Commenti
NAPOLI – Il “Cristo velato” costò, nel 1753 – lo attesta un documento custodito nell’Archivio storico del Banco di Napoli – 50 ducati versati dal committente, Raimondo di Sangro, principe di San Severo, a favore dello scultore Giuseppe Sammartino, in conto “di una statua di Nostro Signore morto, coperta da un velo ancor di marmo”.
Entrare a Napoli nella cappella di San Severo, già chiesa di Santa Maria della Pietà (o Pietatella, per i partenopei veraci) regala una profonda emozione e commozione. E non solo per il risultato artistico dell’opera – Antonio Canova, il grande scultore, confessò che avrebbe dato dieci anni di vita per esserne l’autore – ma soprattutto per quel volto e per quel corpo sofferente del Cristo, coperto “da un sudario trasparente dello stesso blocco di pietra” (lo recita e precisa l’atto con cui il principe affida il progetto della scultura all’artista) che ha colpito e sconvolto, ieri e ancora oggi, non solamente i fedeli ma persino personalità laiche, se non atee, come ebbe a confidare lo stesso marchese De Sade.
Steso sul catafalco anch’esso di pietra, il Cristo di marmo presenta ai suoi piedi gli strumenti del suo martirio: la corona di spine, la tenaglia, i chiodi, il martello, la spugna, che il soldato intinse nell’aceto e fece bere all’uomo crocifisso. Ad incantare e a rendere basiti gli esperti d’arte e l’ultimo dei visitatori resta comunque quel sudario trasparente che avvolge l’intero corpo ed il volto del Cristo in particolare: “Quel velo – commentò Matilde Serao, giornalista e scrittrice – che vela senza nascondere, che non cela la piaga ma la mostra, che non copre lo spasmo ma l’addolcisce”.
L’autore di questa incredibile splendida opera d’arte si firma, sul bordo della pietra “Joseph Sammartino, Neap(olis), fecit, 1753”.
L’incarico, per primo, l’ebbe in realtà un altro scultore napoletano, Antonio Corradini, tradito dalla morte che gli consentì solo di finire un bozzetto in terracotta sullo stesso tema. A quel punto il principe-mecenate convocò il Sammartino al quale spiegò, per iscritto, cosa chiedeva e cioé: “Una statua di marmo a grandezza naturale rappresentante Nostro Signore Gesù Cristo morto, coperto da un sudario trasparente realizzato dallo stesso blocco di pietra”.
Il Sammartino (1720-1793) realizzò alla grande – all’età di appena 33 anni – l’opera richiesta, tanto da ottenere prestigiose commissioni, soprattutto religiose, fino all’ultimo giorno della sua vita, in particolare in area campana.
Una leggenda narra che la cappella di San Severo sia stata costruita sui resti di un tempio di epoca imperiale romana, dedicato alla dea egiziana Iside. Storicamente la cappella fu eretta dopo un terribile doppio e crudele omicidio: quello della splendida nobildonna Maria D’Avalos e del giovane aristocratico Fabrizio Carafa, avvenuto la notte tra il 16 e 17 ottobre  del 1590, per mano del marito di lei, Carlo Gesualdo da Venosa. La madre di Fabrizio, Adriana Carafa della Spina, seconda moglie del principe Giovanni Francesco di Sangro, in ricordo dell’amato figlio, finanziò la costruzione della cappella, poi ritoccata nel 1593, nel 1613 e nel 1767.
Oltre al “Cristo velato”, la Pietatella ospita altre opere d’arte tra le quali la statua della Pudicizia di Antonio Corradini e quella del Disinganno di Franco Queirolo, che rappresenterebbero la madre, Cecilia Gaetani dell’Aquila di Aragona ed il padre, Antonio di Sangro, del principe-mecenate. Quest’ultimo (1710-1771) vanta una storia ed un curriculum vitae davvero ricchi: scienziato, alchimista, esoterico, massone, inventore e scrittore. Un ingegno multiforme, insomma.
Rampollo di un casato che viene fatto discendere addirittura da Carlo Magno imperatore del Sacro Romano Impero, Raimondo era nato nelle Puglie a Torremaggiore ed era stato mandato a studiare dai Gesuiti a Roma. Nella città dei Papi si mise subito in luce per aver creato un palco pieghevole che suscitò grande interesse. Ottenuto dal nonno a soli 16 anni il titolo di settimo principe della casata (scalzò, non certo per sua ambizione, il padre), sposò una lontana parente per parte di madre, Carlotta Gaetani dell’Aquila di Aragona, dalla quale ebbe otto figli. Amico personale del re Carlo III di Borbone, combatté valorosamente al suo fianco nella battaglia di Velletri contro gli austriaci. Inventò anche un particolare archibugio ed un cannone di lega più leggera di quelli prodotti nella sua epoca e dunque più facilmente trasportabile sui campi di battaglia. Fu anche accademico della Crusca. L’aspetto, comunque, più singolare è che, entrato in massoneria (nella loggia di Parigi guidata dal duca di Villeroy), non solo divenne maestro venerabile della loggia “Perfetta Unione” di Napoli, ma pure gran maestro della Rosa dell’Ordine Magno che si richiamava al Rito Egizio e addirittura primo sovrano gran hierophante di questo ordine massonico. Ancora più curioso il fatto che con lui la chiesa della Pietatella si trasformò, in segreto (il principe viveva sotto l’occhio sospettoso e attento della Inquisizione, che aveva messo all’indice molte sue opere), in un tempio massonico, i cui richiami ed i cui significati esoterici vengono ancora oggi “letti” dagli esperti. Proprio a pochi metri dal “Cristo velato”, sono esposti due scheletri, abbastanza inquietanti, frutto di uno studio che il principe portò a compimento con la collaborazione di Giuseppe Salerno e che mostrano l’intero impianto venoso del corpo umano.
Tra le invenzioni di Raimondo di Sangro anche il “lume perpetuo”, un metodo di desalinizzazione dell’acqua di mare e una più prosaica e goliardica “carrozza marittima trascinata da cavalli”, in realtà azionata da pale a forma di ruota, con la quale, solcando lo specchio di mare di Posillipo, rese attoniti i suoi concittadini, aristocratici e popolani, assiepati sulla riva.
Benedetto Croce definì il principe-mecenate un nuovo Faust, sulla scia delle credenze popolari che ritenevano Raimondo una sorta di mago, se non un diavolo incarnato, tanto da ipotizzare che il velo del Cristo fosse un tessuto che per processi magici o alchemici era stato trasformato, dal principe, in cristalli di marmo.
La cappella di San Severo compare al nono posto nella to -ten dei musei europei, classifica guidata dal Louvre e dal British Museum. E vale sicuramente una visita anche se la fila per entrare è quasi sempre piuttosto lunga e snervante e la sosta davanti al “Cristo velato” non è consentita se non per qualche minuto.
Elio Clero Bertoldi
Nella foto di copertina, la Cappella di San Severo con la preziosa statua del Cristo Velato

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