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I bambini ucraini costretti a russificarsi

di | 2023-03-04T09:47:41+01:00 5-3-2023 6:05|Attualità, Sezione 2|0 Commenti

MILANO – Nella mente di tutti è presente la statua della Venere di Milo (130 a.C.) che, con la bellezza e l’armonia delle sue forme, suscita un senso di pace e di tensione verso un ideale di perfezione; c’è tuttavia anche un drammatico evento storico collegato a quest’isola delle Cicladi che provoca antitetiche emozioni, essendo diametralmente opposto nei suoi contenuti. Esso è narrato in uno dei dialoghi tenutisi durante i negoziati di pace (416 a.C.) tra i Melii e gli Ateniesi, nel corso della guerra del Peloponneso durata quasi un trentennio (431-404 a.C.) e tramandata dallo storico Tucidide nell’opera omonima.

Euripide

All’ultimatum degli Ateniesi di assoggettarsi al loro dominio o di essere annientati, i Melii oppongono un dignitoso rifiuto cui seguirà una punizione esemplare: la distruzione della città, l’uccisione di tutti gli uomini e la deportazione come schiavi di donne e bambini. Vano il tentativo dei Melii di appellarsi alla loro neutralità ed al diritto di autonomia delle “poleis”, tragicamente attuale, ed immorale l’argomentazione degli invasori che, negando il valore di qualunque regola o patto, rispondono che debba “comandare” il più forte per legge di natura.  In quegli stessi anni Euripide mette in scena coraggiosamente, davanti agli autori di quella strage, “Le Troiane” (Τρῳάδες/Troadi).

L’uccisione di Astianatte, figlio di Ettore ed Andromaca

La tragedia, dalla trama alquanto statica legata agli eventi dell’Iliade successivi alla caduta di Troia, si sviluppa dalla crudele uccisione dell’innocente Astianatte (figlio di Ettore ed Andromaca) fino alla descrizione del destino delle donne e dei bambini brutalizzati, uccisi o ridotti in schiavitù dai vincitori. Troia è ormai in fiamme ed i Greci, scagliato dalle mura Astianatte, consegnano il suo corpo straziato ad Ecuba affinché possa compiere il rito funebre; mentre le donne, prigioniere-schiave trascinate via dai nemici, salutano per l’ultima volta la loro patria. Pagine di storia e letteratura che mostrano quanto tutte le guerre siano un illogico strumento risolutivo dei contrasti e quanto le scelte politiche dei sanguinari tiranni siano identiche per conseguenze e ferocia, in particolare quando colpiscono innocenti.

Oggi in Ucraina manipoli di soldati deportano orfani e bambini non accompagnati nelle colonie istituite in territorio ex-sovietico per “russificarli” (Russkiy); i parenti affranti li chiamano “orchi” perché rubano i loro figli, invece per il Cremlino sono “generosi rieducatori”. I testimoni ucraini hanno denunciato violenze da parte di miliziani e soldati regolari che hanno strappato con la forza bambini alle loro famiglie e li hanno divisi in file distinte per genere verso destinazioni diverse nell’ambito del cosiddetto piano di denazificazione: macabri rituali che mai più nessun essere umano dovrebbe rivivere.

Filippo Grandi, alto commissario Onu per i rifugiati

Questi minori “figli della guerra” sono come Astianatte, come i piccoli bosniaci o argentini o siriani o afghani o senegalesi o… come tutti i bambini, la cui infanzia è stata o è negata dalla guerra in qualsiasi angolo del mondo. Dopo mesi di accuse e sospetti arrivano purtroppo le conferme dai funzionari Onu oltre che dalle verifiche incrociate svolte da varie associazioni che operano a tutela di diritti dei minori e da molte inchieste giornalistiche; al momento ci sono solo delle stime e nessun dato certo. Il governo ucraino parla di seimila bambini ed aggiunge che ha raccolto segnalazioni su oltre 14.700 minori catturati dai russi e classificati come “deportati”.

Filippo Grandi, alto commissario Onu per i rifugiati, le definisce operazioni contrarie al diritto internazionale e conferma la pratica da parte dei russi del cambio di cittadinanza per i minorenni “soli”, non necessariamente orfani, per facilitarne l’adozione in spregio a qualsiasi etica. Si configurerebbe, dunque, un crimine contro l’umanità: la deportazione di civili inermi, purtroppo, tante volte reiterata da diabolici carnefici.

Le madri di Plaza de Mayo a Buenos Aires

Emule di Andromaca ed Ecuba, in Argentina dopo la dittatura militare (1976 -1983), le madri e le nonne (Madres y Abuelas de Plaza de Mayo) hanno cercato tenacemente e poi lottato pacificamente nelle aule dei tribunali per ritrovare i loro “niños” desaparecidos; la giustizia ha successivamente dimostrato che nei centri di detenzione venivano organizzati reparti clandestini di maternità. Dopo il parto, la madre veniva quasi sempre assassinata e l’identità del bambino sostituita con una nuova; i neonati erano poi affidati a coppie che, nella maggioranza dei casi, erano state complici della morte dei loro genitori biologici e della cancellazione della loro identità.

Un altro controverso episodio, evidente espressione della vulnerabilità dei minorenni in tempi di guerra, rimanda al più recente conflitto nella ex-Iugoslavia: dalla città di Sarajevo assediata e sotto il fuoco di continui bombardamenti, partiva (luglio 1992) verso l’Italia un convoglio con 67 bambini, tra i quali 46 tra orfani e minori con situazioni disagiate dell’orfanotrofio “Ljubica Ivezić”. Siglati gli accordi di pace, i minori sarebbero dovuti tornare in patria; invece sono rimasti in Italia e alcuni di loro sono stati adottati da famiglie italiane, nonostante i genitori biologici fossero in vita. Complicazioni burocratiche ed errori sono stati commessi dai due Stati coinvolti (Italia e Bosnia- Erzegovina) ed il caso rappresenta ancora una “zona grigia”, pur in presenza di buone e condivise intenzioni iniziali.

Sarajevo in guerra

Ad un anno dallo scoppio delle ostilità tra Russia e Ucraina, benché non si parli ancora concretamente di un cessate il fuoco, occorre che le parti belligeranti si rendano conto che non sempre si può subito arrivare ad una pace giusta e duratura; pertanto bisognerebbe che insieme si adoperassero per una pace “possibile”, in modo da porre quanto meno fine a questa terribile carneficina e strage di innocenti. È triste dover ancora rimarcare quanto le armi parlino solo un linguaggio intriso di sangue e mostrino l’aspetto peggiore dell’uomo; quello stesso che spinge ne “Le Troiane” Andromaca ad urlare piangendo, mentre le viene strappato il figlio dalle braccia “Oh Greci, inventori di barbare crudeltà, perché uccidete questo bambino che di nulla ha colpa?” ed Ecuba ad interrogarsi, nell’atto di ricomporre il cadavere smembrato del nipotino, su che cosa mai potrebbe scrivere un poeta sulla piccola tomba, se non “Questo bambino hanno ucciso un giorno i Greci per la paura, epigrafe che copre di disonore la Grecia”.

Adele Reale

Nell’immagine di copertina, la drammatica situazione dei bambini ucraini a causa della guerra

 

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