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Le poesie di Galloni sul senso della vita

di | 2020-09-12T13:19:53+02:00 13-9-2020 6:35|Cultura, Sezione 8|0 Commenti

MILANO – Qualche giorno fa è morto suicida a soli 25 anni Gabriele Galloni, poeta romano dei nostri tempi, introverso e poco incline alle apparizioni in pubblico, definito in rete come uno “dei migliori della sua generazione”. Poeta semi-invisibile in un mondo dove tutti sembrano cercare la visibilità e la notorietà. Era attratto dal tema della morte e per quelle che lui stesso definisce le “cronache della fine”, quelle raccontate dai malati terminali che lui intervistava. Galloni, nella sua collaborazione con la Rivista Pangea, portava avanti un ‘idea difficile che lo avvicinava a tutti quelli che stavano scrivendo le ultime pagine della propria vita nella sofferenza e nella voglia di ricominciare. Intervistava i malati terminali, tutti quelli che avevano voglia di parlare della vita, della morte. La rubrica si intitolava “Cronache della fine”.

Oggi sono in molti a piangere e interrogarsi sgomenti sulla morte di questo giovane poeta, autore di diverse raccolte “In che luce cadranno” (Rplibri, 2018), “L’estate del mondo” (Saya Editore, 2019) e la silloge di brevi scritti “Sonno giapponese”. Molti (tra scrittori, direttori di rivista e autori) conoscevano Gabriele Galloni solo via email, pochissimi hanno avuto la fortuna di incontrarlo di persona. Gabriele era attirato dalla morte come chi cammina sul bordo di una piscina vuota, profondissima, per tuffatori, cosi lo definisce chi lo ha conosciuto da vicino. Il tema della sofferenza, della morte e dello stesso suicidio hanno sempre attraversato la sua mente e animato la penna di questo giovane poeta. Basta scorrere fra le sue righe per sentirne il tormento ed insieme l’attrazione.

Nell’ultima pagina di “Sonno giapponese”, che è anche la sua ultima opera letteraria, è contenuto una sorta di testamento che è anche, alla luce dei fatti, un proposito: “Qualcuno propose all’uomo di suicidarsi. Non un suicidio appariscente, no, ma un addio dimesso, senza pretese; un suicidio unplugged… L’uomo valutò l’ipotesi. Il suicidio come conferma definitiva, inevitabile approdo della sua condizione. L’uomo trovò il suicidio un’ipotesi fattibile…” E per l’uomo e poeta Gabriele Galloni questo è stato purtroppo davvero fattibile. Eppure Gabriele era un uomo spavaldo e umile, di intelligenza raddoppiata, un uomo che sorrideva e riusciva a trasmettere il proprio sorriso anche attraverso le mail. Non lo si deve pensare come una persona cupa e ossessionata dalla morte. Per lui la sofferenza è la morte facevano parte della vita di ciascuno e quindi anche della sua.

Sul suo profilo Facebook si legge in data 8 luglio un post in cui Gabriele parla del suo sentire: “Stavo constatando che per me non esiste musica allegra. Ogni canzone, anche la più felice, nasconde le insidie di una gioia già trascorsa. Una ‘Twist and shout’, per esempio, emblema della canzone da party, è per me il più nostalgico dei brani. Perché non canta l’allegria presente, ma quella trascorsa – forse idealizzata. E quando ballo, alle feste, e se ballo, io sono già altrove. Tutto è già ricordo in cui crogiolarsi. La mia vita emotiva è così. Il passato non mi lascia mai e tutto è gioia, dolore, abbandono e ritrovo indistinto. Vorrei amare tutti, del mio passato (benché pure serbi rancore; benché pure non sia estraneo alla vendetta), portare sempre con me l’Umano che ho vissuto. E di riflesso l’umanità intera. Scrivo per questo. Non è bontà – ma desiderio di ritrovarsi tutti, un giorno, all’ombra di pini marittimi; e in pace, trascorso ogni rancore, un po’ come in Paradiso; o in sogno. Felici”.

Ora sta ai posteri mantenere viva la memoria di questo poeta contemporaneo e tramandare la sua poesia. Numerosi in rete gli interventi che ricordano la figura di Gabriele Galloni. Uno fra tutti, quello del poeta, romanziere e autore televisivo Andrea Di Consoli, che sul suo profilo social scrive: “Oggi piango uno dei migliori poeti della nuova generazione, Gabriele Galloni. A soli 25 anni i suoi demoni lo hanno soffocato per sempre. Avevo grande stima della sua poesia e lui mi cercava e leggeva continuamente con un rispetto che raramente ho trovato negli scrittori giovani. Piango un poeta eccellente la cui opera ora sta a noi custodire e tramandare come merita”.

Margherita Bonfilio

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