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Stupro, l’Europa dice no al reato

di | 2024-02-25T18:22:35+01:00 25-2-2024 5:00|Attualità, Sezione 1|0 Commenti

MILANO – “Il mito narra che…” (‘О μύθος δελοι οτι” /o mythos deloi oti) era la formula narratologica presente nelle favole di Esopo per introdurre ciò che la morale del racconto si proponeva di mediare. Il termine mito in greco antico indicava sia una storia fantastica (fabula poi in latino), sia l’epopea di dei ed eroi portatori dei valori identitari di ogni specifica comunità. Alcuni, tra questi racconti, rappresentano violenze, stupri compiuti perfino dagli dei ed episodi analoghi si trovano anche in generi meno “sublimi” e più popolari, quali la commedia. Non c’era mai la condanna del violento, dello stupratore né – si può presumere – l’indignazione del pubblico, come avverrebbe oggi. Si pensi ai miti di Giove e Io, sacerdotessa sedotta da Giove avvolto in una nube e trasformata poi in giovenca dalla gelosa Giunone; o di Apollo e Dafne, la cui metamorfosi in albero per sfuggire allo stupro spiegava l’origine dell’alloro o ancora di Ade e Persefone (Plutone e Proserpina), il cui rapimento violento motivava la rotazione delle stagioni.

Vittime erano donne comuni, sacerdotesse e ninfe, consegnate poi all’eterna bellezza dell’arte grazie ai versi, le tele, le note, i marmi di grandi capolavori, senza alcuna condanna morale. Il termine stupro ha un etimo incerto, probabilmente in origine indicava vergogna, onta; mentre nel linguaggio giuridico a Roma indicava una serie diversa di rapporti sessuali, dallo stupro vero e proprio (che era lecito se commesso su stranieri, schiavi e prostitute) ad un rapporto sessuale illecito (adulterium). Non era quindi considerato un crimine esecrabile, come è oggi giudicato; tanto che molti studiosi del mondo classico sono giunti a parlare di una “virilità da stupro”, definizione usata dallo storico ed archeologo Paul Veyn più in specifico per Roma; etica politica che del resto affondava le proprie radici nel mito stesso della nascita del fondatore Romolo.

Marte e Rea Silvia, opera di Rubens

Scrive Tito Livio (59 a.C. – 17 d.C.) nell’opera “Ab Urbe Condita” che Rea Silvia “sia che fosse in buona fede, sia che intendesse rendere meno turpe il fatto” incolpò della violenza subita il dio Marte. Una brutalità divina, quindi, e una giovane vestale uccisa dopo il parto quale mito fondativo della città eterna. Simili le posizioni della storica Eva Cantarella che sottolinea come, per i caratteri tipici della loro educazione, “i Romani dovessero imporsi sui nemici con la forza delle armi e la superiorità delle leggi, sui concittadini con l’uso politico della parola, sulle donne possedendole”. Un modo di pensare non più condiviso, ma gli eventi storici devono sempre essere studiati ed esaminati nel proprio contesto; pertanto sarebbe deviante condannare senza spiegare un’azione considerata lecita dal pensiero del tempo, facendosi guidare dalla propria ottica; bisognerebbe, al contrario, senza rinunciare ad una consapevole critica, conservare ciò che di positivo una testimonianza del passato può rappresentare.

La Storia non va mai cancellata o ancor peggio revisionata con posizioni faziose né tanto meno rimossa, ma sempre analizzata senza pregiudizi per capire, stigmatizzare, ricordare, insegnare. Lascia, quindi, indignati la delibera del 7 febbraio del Consiglio d’Europa in relazione allo stupro, non considerato reato europeo. Il negoziato sulla Direttiva europea, pensata per unificare le normative sullo stupro in tutta l’Unione e facilitare la protezione delle donne, si è concluso con questa sconfortante decisione del Consiglio Ue, mancando su alcuni punti l’unanimità di vedute tra i 27 Paesi. Punto della controversia l’articolo 5 del testo, ovvero quello che, definendo lo stupro come “sesso senza consenso, ne avrebbe favorito la penalizzazione negli ordinamenti di tutti gli Stati. Deludente dover constatare nel 2024, e non già tra le nebbie irrazionali di tempi mitici, che lo stupro non sia stato inserito tra i reati comunitari a causa di un dibattito sulla sua definizione.

Il ratto di Proserpina

L’avvocato Tina Lagostena Bassi

L’unico dato positivo è che si sia trovato finalmente un accordo per la prima legge europea contro la violenza sulle donne; si interverrà così, nei diversi paesi e con direttive univoche, contro la mutilazione genitale femminile e tutta una serie di violenze informatiche, quali la condivisione non consensuale di materiale intimo, stalking, molestie, incitamento alla violenza o all’odio basati sul sesso o sul genere della vittima. La bozza non approvata nella sua interezza si basava sul principio per cui “solo sì significa sì” (proposto dalla Spagna), in base al quale vari Stati membri hanno già adattato le proprie legislazioni; ma soprattutto prevedeva che non fosse in capo alla vittima dover fornire prove di violenza subita, di minacce o coercizione. Ancora un passo indietro, ancora un’ulteriore occasione storica mancata, mentre ricerche scientifiche autorevoli attestano che chiunque subisca uno stupro non trova la forza immediata di reagire, quasi come “spento” spesso cade in uno stato di paralisi, di immobilità e dissociazione emotiva. I circuiti nervosi, che presiedono al senso di paura, prendono il sopravvento, generando un comportamento che viene definito freezing, cioè congelamento.

La storica Eva Cantarella

Si intuisce, di conseguenza, quanto doloroso, offensivo e umiliante possa essere ancora oggi, in tanti paesi della progredita Europa, il non ravvisare la punibilità degli atti sessuali compiuti, in mancanza di un esplicito dissenso della vittima. Incombe così sulla parte lesa, quasi sempre una donna, «in modo sproporzionato», come ricorda la Convenzione di Istanbul (2011), una presunzione di consenso agli atti sessuali. Tornano in mente le immagini in bianco e nero di “Processo per stupro”, un documentario andato in onda nel 1979. A Latina, per la prima volta, si permise la ripresa televisiva durante le fasi del processo per lo stupro di Fiorella, una ragazza di 18 anni di cui non fu reso noto il cognome. La difesa, egregiamente sostenuta dall’avvocato Tina Lagostena Bassi, segnò un cambio di rotta storico.

Questo straordinario documento mostrò come chi denunciava una violenza sessuale da vittima finiva sul banco degli imputati, costretto a rispondere a insinuazioni e domande di uno stereotipato copione ancora volgarmente uguale dopo quasi mezzo secolo. Chiuso il dibattimento, fu chiesto un risarcimento simbolico di una lira, mentre l’avvocato Lagostena Bassi così concluse la sua vibrante arringa difensiva: “Io non voglio parlare di Fiorella: una donna ha il diritto di essere quello che vuole, senza bisogno di difensori. Io non sono il difensore della donna Fiorella. Io sono l’accusatore di un certo modo di fare processi per violenza”.

Adele Reale

Nell’immagine di copertina, “Era scopre Zeus con Io” del pittore olandese Pieter Lastman

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