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Wislawa Szymborska, poetessa dell’umano

di | 2023-07-13T17:58:44+02:00 16-7-2023 5:40|Personaggi, Sezione9|0 Commenti

PALERMO – La poetessa polacca Wislawa Szymborska, premio Nobel per la Letteratura nel 1996, avrebbe compiuto 100 anni il 2 luglio scorso, se Atropo, appellata in una sua straordinaria poesia/intervista “delle tre figlie della Necessità quella con la fama peggiore”, non avesse tagliato il filo della sua vita il 1° febbraio 2012. Quasi sconosciuta prima del Nobel, Wislawa Szymborska è ora apprezzata in tutto il mondo. Definita nel 1996 da Fruttero e Lucentini, forse con una punta di misoginia, “solo una signora candida e squisita”, anche in Italia la poetessa polacca ha toccato il cuore di un pubblico vasto e composito ed è assai nota e amata, grazie anche all’accurata traduzione di Pietro Marchesani che ha raccolto tutte le sue poesie nel volume La gioia di scrivere (Adelphi, Milano, 2009).

In un’intervista di qualche anno fa alla trasmissione radiofonica Fahrenheit, la professoressa Giovanna Tomassucci, docente di Letteratura polacca all’Università di Pisa, ha evidenziato come la Szymborska abbia sempre coltivato la chiarezza e la limpidezza espressiva, per una sorta di sommo rispetto verso i suoi lettori. Nel corso della trasmissione, la docente ha anche reso noto un testo inedito in prosa, dove la poetessa ribadiva che “le essenze umane devono essere un bene comune e unire tutti, indipendentemente dalle qualifiche professionali…”.

Infatti, le poesie della Szymborska sono prive di qualsiasi oscurità, offrono un punto di vista spesso spiazzante, potente e originale e presentano domande esistenziali e interrogativi universali. Il critico tedesco Marcel Reich-Ranicki ha affermato che Wislawa “lè la poetessa più rappresentativa della sua nazione, la cui poesia lirica, ironica e profonda, tende verso la poesia lirica filosofica”.

Un esempio della sua ‘ispirazione filosofica’ ce lo mostrano, ad esempio, con i pochi versi citati, le liriche Elenco: “Ho fatto un elenco di domande/a cui ormai non otterrò risposta,/poiché o sono premature/o non farò in tempo a comprenderle./L’elenco delle domande è lungo,/tocca questioni più e meno importanti,/e poiché non voglio annoiarvi,/ne rivelerò solo alcune:/Cos’era reale/e cosa sembrava esserlo appena/in questa platea/stellare e substellare,/dove oltre al biglietto d’ingresso/bisogna avere quello d’uscita;/Che ne sarà di tutto il mondo vivo,/che non farò in tempo/a paragonare con un altro mondo vivo;/Di cosa scriveranno/l’indomani i giornali;/Quando cesseranno le guerre e cosa le sostituirà”; e Platone, ossia perché: “Per motivi non chiari,/in circostanze ignote/l’Essere Ideale smise di bastarsi./Dopotutto poteva durare e durare all’infinito,/sgrossato dall’oscurità, forgiato dalla chiarezza,/nei suoi giardini di sogno sopra il mondo./Perché, diamine, si mise a cercare impressioni/in cattiva compagnia della materia?”.

Nella poesia Qualche parola sull’anima  la poetessa si serve del suo sguardo ironico e paradossale per parlare di una grande questione: l’esistenza o meno dell’anima: “L’anima la si ha ogni tanto./Nessuno la ha di continuo/e per sempre./Giorno dopo giorno,/anno dopo anno,/possono passare senza di lei./A volte nidifica un po’ più a lungo/solo in estasi e paura dell’infanzia./A volte solo nello stupore/dell’essere vecchi./Di rado ci dà una mano/in occupazioni faticose,/come spostare mobili,/portare valigie/o percorrere le strade con scarpe strette./Quando si compilano moduli/e si trita la carne/di regola ha il suo giorno libero”.

Nel 1996 il Nobel per la Letteratura le fu assegnato con questa motivazione: “Per una poesia che, con ironica precisione, permette al contesto storico e biologico di venire alla luce in frammenti d’umana realtà”.

Su Wikipedia si legge: “Benché molte delle sue poesie non superino la lunghezza di una pagina, esse toccano spesso argomenti di respiro etico che riflettono sulla condizione delle persone, sia come individui che come membri della società umana. Lo stile della Szymborska si caratterizza per l’introspezione intellettuale, l’arguzia e la succinta ed elegante scelta delle parole. Non mancano, d’altra parte, aperte denunce di carattere universale sullo stato delle cose”.

“La Lattaia” di Vermeer

Ai lettori e le lettrici ancora ignari di tanta potenza creativa, non resta che il contatto diretto con i suoi versi, il cui tratto più significativo, secondo il già citato traduttore italiano, sarebbe proprio l’incanto. La poetessa stessa, a conclusione del discorso per l’attribuzione del Nobel, ha ribadito che “il mondo, qualunque cosa ne pensiamo, è stupefacente”.

E salutiamo la piccola, grande signora della poesia con alcuni versi tratti da La gioia di scrivere: “Dove corre questa cerva scritta in un bosco scritto? /Ad abbeverarsi ad un’acqua scritta/ che riflette il suo musetto come carta carbone?/ Perché alza la testa, sente forse qualcosa?/Poggiata su esili zampe prese in prestito dalla verità,/da sotto le mie dita rizza le orecchie./ (…)Non una cosa avverrà qui se non voglio./Senza il mio assenso non cadrà foglia,/né si piegherà stelo sotto il punto del piccolo zoccolo./C’è dunque un mondo/di cui reggo le sorti indipendenti?/Un tempo che lego con catene di segni/Un esistere a mio comando incessante?/La gioia di scrivere/Il potere di perpetuare./La vendetta d’una mano mortale; e con la poesia Vermeer, magnifica folgorazione poetica che invita alla cura e alla speranza: “Finché quella donna del Rijksmuseum/nel silenzio dipinto e in raccoglimento/giorno dopo giorno versa/il latte dalla brocca nella scodella,/il Mondo non merita/la fine del mondo”.

Maria D’Asaro

 

Già docente e psicopedagogista, dal 2020 giornalista pubblicista. Cura il blog: Mari da solcare
https://maridasolcare.blogspot.com. Ha scritto il libro ‘Una sedia nell’aldilà’ (Diogene Multimedia, Bologna, 2023)

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