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Pablo Neruda fu avvelenato dai sicari di Pinochet?

di | 2023-03-04T09:41:19+01:00 5-3-2023 6:20|Personaggi, Sezione 5|0 Commenti
PERUGIA – Assassinato in ospedale. Con un omicidio tanto premeditato quanto vile.

La morte di Pablo Neruda, tra i più grandi poeti del Novecento, avvenuta nella clinica Santa Maria di Santiago del Cile, il 23 settembre 1973, non ebbe cause naturali, ma fu il frutto di un crimine politico vero e proprio, consumato appena undici giorni dopo la presa del potere con l’uso della forza dei generali cileni guidati da Augusto José Ramón Pinochet Ugarte.

La consegna del Premio Nobel

L’ultima parola, come è ovvio, la pronuncerà la magistratura, ma gli elementi forniti alla Corte Penale, ed in particolare al giudice istruttore Paola Plaza, risultano univoci: i periti incaricati – anatomopatologi ed altri esperti (provenienti dal Canada, dal Messico, da El Salvador, dagli Usa, dalla Danimarca, dalla Germania e dallo stesso Cile), che hanno studiato ed operato sui poveri resti del grande poeta, sepolto ad Isla Negra, vicino a Valparaíso, dove la vittima possedeva una casa e dove sorge la fondazione a suo nome – sono riusciti ad individuare, evidenziare e documentare, nel midollo di un dente della vittima, un batterio (il Clostridium Botilinum) che sarebbe stato iniettato nell’addome di Neruda, poche ore prima del decesso. L’inchiesta giudiziaria aveva preso avvio da una dichiarazione di Manuel Araya, autista del premio Nobel della Letteratura (ottenuto nell’anno 1971), rilasciata una decina di anni fa, sulla scorta della quale il magistrato Mario Carroza, aveva aperto, doverosamente, un fascicolo.
Neruda – il cui nome anagrafico completo suonava Eliécer Neftalì Ricardo Reyes Basoalto (1904-1973) – era afflitto, da un paio di anni, da un cancro alla prostata. Si era ricoverato nella clinica della capitale per curarsi alla vigilia di un viaggio che lo avrebbe dovuto portare in Messico per formare un governo in esilio in opposizione netta e dura al golpe della giunta militare che aveva assunto il potere, assaltando il palazzo De la Moneda, in cui si era asserragliato il presidente democraticamente eletto, Salvator Guillermo Allende Gossens (1908-1973), pronto a togliersi la vita – come in effetti fece – per non cedere alla violenza e per non arrendersi ai militari golpisti.
Ebbene, il pomeriggio del 22 settembre – questa la testimonianza resa da Arraya – un sanitario, che l’autista non aveva mai visto in precedenza, entrò nella camera in cui era ricoverato Pablo, praticandogli una iniezione, come fosse una terapia medica prescritta. Dopo la quale, il mattino successivo, tra dolori lancinanti, Pablo si spense.
Chi era il falso medico o infermiere? Secondo le voci sarebbe stato il sicario inviato, su mandato di Pinochet e dei golpisti (oltre che della CIA al tempo della presidenza Nixon) ad eliminare, nel quadro dell’Operazione Condor, una figura decisamente significativa anche a livello mediatico dell’opposizione. Il modo scelto per eliminare un potenziale e pericoloso nemico avrebbe fornito due vantaggi a Pinochet ed ai suoi accoliti: la soppressione di un avversario molto potente anche per le conoscenze vantate in tutti i continenti e nessuna polemica perché il decesso sarebbe stato archiviato, e così avvenne in un primo momento, come legato a cause naturali, derivate dalla patologia di cui il letterato soffriva e di cui tutti, nel paese e nel resto del mondo, sapevano.
I familiari, qualche dubbio lo avevano nutrito ed esplicitato, perché nulla lasciava presagire una fine così repentina del loro congiunto, il quale aveva programmato e preparato con entusiasmo e nei minimi particolari, il suo prossimo viaggio in Messico dopo le attese dimissioni dal nosocomio. Ma invano.
Marxista convinto, Neruda, non solo era stato indicato alla presidenza del Cile, ma era stato eletto senatore (1944) ed aveva svolto attività di diplomatico (in India, Birmania, Spagna e poi in Francia a Parigi). Fuori dai denti: il poeta avrebbe potuto rappresentare, per preparazione culturale e politica, per la sua immagine e la sua fama, una spina nel fianco del regime, che, d’altro canto, stava sradicando con programmazione cinica e senza pietà alcuna – prigioni, torture, uccisioni – ogni forma di resistenza. Migliaia i “desaparecidos” cileni, prima e dopo il sanguinoso colpo di stato.
Sospettato di essere il killer di Neruda sarebbe uno statunitense, forse un “contractor” della Cia, ingaggiato per portare a compimento il lavoro “sporco”.
Ora la parola passa alla magistratura cilena che dovrà assumere le proprie determinazioni e confermare (o meno) quella che, al momento, resta una ipotesi accusatoria, sia pure basata su elementi certi e documentati e magari arrivare ad identificare ufficialmente l’assassino e trascinarlo davanti ad una corte di giustizia.
Pablo proveniva da una famiglia di origini modeste (il padre impiegato delle ferrovie, la madre insegnante), che viveva a Parral, nel sud della nazione. Aveva frequentato il liceo a Temuco e l’università di Santiago, dove aveva vinto, a soli 17 anni, un “certamen” poetico. Già a 20 anni scelse lo pseudonimo di Pablo Neruda – prima si firmava Riccardo Reyes – in omaggio al poeta ceco Jan Neruda. In Spagna, sempre come funzionario dell’ambasciata cilena – dopo l’esperienza quale console in India – si era incontrato ed aveva stretto amicizia con Federico Garcia Lorca (assassinato dai franchisti), Rafael Alberti, Miguel Hernandez (morto in prigione a soli 31 anni sempre durante la dittatura di Franco) coltivando la poesia, ed al tempo stesso, l’impegno politico. Più tardi, nel 1952, Neruda fu anche esule in Italia, a Capri, ospite di un ingegnere italiano e poi a Sant’Angelo d’Ischia.
La sua musa principale, la sua Beatrice, era stata la cantante e scrittrice cilena Matilde Urrutia (1912-1985), terza moglie di Pablo. Le prime consorti erano state Maryka Antonieta Agenaar Vogelzan (dal 1930 al 1943), impalmata a Giava, che gli diede una figlia spirata a soli 8 anni; quindi la pittrice argentina, più grande di lui, Delia del Carril (dal 1943 al 1966).
Già prima della Guerra Civile spagnola, Lorca aveva scritto di Pablo: “Le sue poesie, più che con l’inchiostro, sembrano scritte col sangue”.
Le poesie del grande cileno resteranno immortali. Come il finale di questa ode:
Polvere siamo, saremo.
Né aria, né fuoco, né acqua,
ma terra, solo terra saremo,
e forse alcuni fiori gialli
Elio Clero Bertoldi

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