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Mai giustizia vera per Francesca

di | 2019-03-17T06:44:34+01:00 17-3-2019 6:00|Attualità, Sezione 1|0 Commenti

ENNA – “Queste cose devi guardare, non le donne “ urla il padre alla figlia quindicenne mentre si abbassa i pantaloni per mostrare alla figlia l’oggetto dei desideri di una donna e le dà prova della sua bruta virilità, violentandola. Francesca piange e si divincola mentre il padre la ghermisce, l’afferra, la punisce. La punisce, secondo la logica del contrappasso dantesco, perché Francesca è lesbica, perché ama una ragazzina, perché ha i capelli corti e indossa capi maschili.

Ad inchiodarla gli sms inviati alla sua compagna, messaggi innocenti che parlano di affetto, ma che suonano come prove a chi li legge. Francesca, un giorno, ha lasciato incustodito il telefonino e la sorella ne approfitta per sbirciare, spiare e condannare. Rivela il segreto ai genitori e insieme congegnano una spedizione punitiva. Si dirigono a scuola dove la quindicenne sta seguendo le lezioni, la prelevano e la caricano in macchina e in quell’abitacolo volano botte da orbi. È una slavina di insulti e minacce: “Meglio morta che lesbica”, le ripete la madre a quella figlia deviata che ha disonorato la famiglia, il casato. Meglio morta che lesbica si augura Francesca quando il padre è su di lei per mostrarle come si deve “amare” un uomo. La madre sa cosa sta succedendo tra le mura domestiche, preferisce uscire, allontanarsi, sa che il padre le sta dando una lezione di vita per correggere quella figlia, la pecora nera della famiglia.
Poi sazio di quella punizione, manda un messaggio alle amiche: “ Buttana, lascia stare mia figlia”. Distrugge il telefonino e crede di aver rimesso tutto a posto. La faccenda è chiusa, almeno così crede. Invece no, perché a Francesca quella lezione non è piaciuta, perché lei non riesce a vivere in casa con i suoi aguzzini. Così scappa, si rifugia da una amica ma viene stanata. Tre volte fugge, tre volte viene riportata a casa con la complicità e la collaborazione di un intero paesino del palermitano.
Francesca è in preda alla disperazione, le botte fanno male ma le umiliazioni di più. Vuole farla finita, tenta il suicidio. Viene salvata e poi punita. Un circolo vizioso di abusi fisici e psicologici. Infine, l’ultima fuga e speranza di salvezza, quando ormai è maggiorenne, va dai carabinieri e denuncia. Francesca viene ospitata in una casa protetta; adesso ha 23 anni e consegna la sua storia ai media. La notizia rimbalza e si amplifica per l’atrocità del gesto inferto dal padre, dalla madre, dalla sorella a una ragazzina per avere la colpa di essere lesbica.

Ma è una colpa? È una devianza? È un disonore? Certo, che no. Francesca ha lottato, ha raccontato, denunciato ma nessuna giustizia potrà togliere quelle profonde ferite che si porta dentro, quel fardello di dolore. Francesca, probabilmente, si chiederà se amare è una colpa. La risposta è no, ma le sarà difficile crederlo.

Tania Barcellona

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