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Niccolò di Liberatore, da allievo a maestro

di | 2021-01-24T10:50:03+01:00 24-1-2021 6:40|Cultura, Sezione9|0 Commenti

FOLIGNO – Un ritratto doppio, il proprio e quello della moglie. Del tutto particolare perché inciso sulla parete della bottega – ad appena due passi dalla cattedrale di San Feliciano ed inglobata, con l’abitazione, al monastero di Sant’Anna, in Foligno – addirittura con la punta di un chiodo o di un punteruolo. Qualcosa di unico, di raro, quanto meno di davvero singolare. A graffiarlo sull’intonaco Niccolò di Liberatore, detto l’Alunno – per iniziativa di Giorgio Vasari che tradusse male il termine “alumnus fulginae” (il cui significato in latino, vuol dire anche nato, allevato, figlio e non solo allievo o scolaro) -, uno degli artisti umbri del Quattrocento più rilevanti. Tanto che lo stesso Vasari citò il pittore nelle “Vite” accanto ai nomi del Perugino e del Pinturicchio col commento, carico di meraviglia “faceva teste ritratte dal naturale che sembravano vive”.

Ed in effetti l’inconsueto graffito ci consegna due teste, quella del pittore e della moglie, Caterina Mazzaforte, pure lei di Foligno – molto espressive. Lui – un tipo abbastanza pieno di sé, narcisista, sia perché proveniente da una famiglia iscritta all’arte degli speziali e benestante, sia perché faceva parte dell’élite locale tanto da essere membro del “consiglio dei cento”, poi da aver raggiunto e ricoperto la carica di Priore ed infine anche quella di castellano di Verchiano (pertanto un “cursus honorum” di tutto riguardo almeno nell’ambito cittadino) – si ritrae in primo piano, con baffi, barba ed un naso importante. La consorte, a sua volta figlia di un pittore – Pietro di Giovanni Mazzaforte che era pure socio, almeno per un periodo, della bottega del genero -, viene raffigurata con volto elegante, fine ed un naso regolare. Sicuramente una bella donna. D’altro canto le folignati – per riconoscimento unanime in Umbria – la venustà la ereditano nel dna. Questa testimonianza di affetto coniugale, di legame forte, è rimasta per tutti questi secoli sulla parete e vale la pena – per un turista e per un amante della pittura – farci una visita.

Niccolò di Liberatore (1430-1502), definito in un documento cittadino della sua epoca “doctus magister in arte sua”, ha lasciato testimonianze della sua qualità pittorica in tutta l’Umbria e nelle Marche: da Foligno a Perugia, da Assisi a Montefalco, da Nocera a Gualdo Tadino, da Montefalco a Deruta, da Limigiano di Bevagna a Spello, da Todi a Cannara, da Terni a Bastia Umbra, dove nella chiesa di Santa Croce è esposta la sua ultima opera. I critici d’arte indicano echi, nella pittura su tavola e negli affreschi dell’artista umbro, via via del Perugino, del Pinturicchio, di Benozzo, del Beato Angelico, persino negli ultimi anni, di artisti quali il Signorelli ed il Crivelli (operante nelle Marche ma veneziano d’origine). Segno che Niccolò girava, si documentava e si aggiornava in modo molto approfondito sugli stili e sui movimenti artistici del suo tempo. La morte lo colse all’improvviso, nel secondo semestre del 1502, ed in attività: stava dipingendo una tavola col “Martirio di San Bartolomeo”, tanto che nel testamento si specifica che l’opera avrebbe dovuto essere completata da uno dei suoi figli, Lattanzio, anche lui pittore.

Elio Clero Bertoldi

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