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Le traduzioni… fantasiose dei liceali

di | 2024-04-12T12:26:04+02:00 14-4-2024 5:00|Attualità, Sezione 1|0 Commenti

ROMA – La questione di cui tratta Antonio Plescia è tutta nell’ossimoro del titolo: “Traduzioni assurde” (Dielle editore, luglio 2021). Una contraddizione in termini visto che traghettare un testo da una lingua all’altra mantenendone il significato originario è l’intrinseca vocazione di una traduzione. Questa, infatti, dovrebbe essere corretta, fedele, logica. Tuttavia a scuola non è così, non lo è stato mai, nemmeno quando “ancora” si utilizzava il dizionario. Figuriamoci adesso che quest’ultimo è stato scalzato via dal più immediato – ma fallace – traduttore di Google. Del fenomeno o, se vogliamo, dei “fenomeni” si è occupato – un po’ per gioco e un po’ seriamente – questo giovane archeologo, dipendente della Soprintendenza, estroso, con interessi vari e tra le altre cose titolare della seguitissima pagina fb “Apostrofare Catilina etc etc”.

La traduzione che ha “vinto” la gara di Antonio Plescia

Lo ha fatto con un libro di cui lui stesso nella prefazione racconta la genesi. “Ho indetto una competizione – spiega l’archeologo-blogger – da cui è uscita vincitrice la ‘vaccata’ più clamorosa”. Le 192 selezionate, tra quelle pervenute sulla pagina dell’autore (1750 followers), sono state riproposte in quello che lui chiama “agile volume” secondo una graduatoria stabilita con tanto di votazioni dopo una fase preliminare a gironi seguita da turni a eliminazione diretta. Roba seria. Ciò che è arrivato in finale, dopo aver filtrato ricordi di ex studenti e docenti in pensione, leggende metropolitane e citazioni ormai deformate passando di bocca in bocca, è quanto di più esilarante – finché si scherza, però – si possa trovare su un foglio protocollo.

Disastri su disastri che si materializzano in strane tattiche di guerra, accoppiamenti tra esseri mostruosi, deformità varie e barbarismi capaci di far mettere le mani nei capelli ad un insegnante di greco e latino, anche al più accondiscendente e dai voti “larghi”. In grassetto Plescia ha messo la traduzione assurda e, quando la “tradizione orale” se ne è fatta carico, ha riportato anche il testo originale nonché la traduzione corretta e la spiegazione di cosa possa aver portato ad un fraintendimento tanto grave. E così può capitare che “..montò su un cavallo alato” sia diventato “si accoppiò con un cavallo alato”; “si davano ai piaceri della tavola” è stato storpiato con “si davano il piacere sulle tavole”; “lei, andatagli dietro”, è diventato d’un colpo “la donna nata di dietro” per arrivare alle più ricercate, le finali, corredate dalle vignette di Virgilio Bianchi, che la sparano davvero grossa. Come, per esempio, la 31 che recita: “I romani, impossibilitati per la sete, presero a testate l’accampamento” invece di “adottarono la formazione a testuggine”.

“Le traduzioni selezionate – riconosce l’autore – rappresentano una goccia nell’oceano, ma danno comunque un’idea dei livelli di assurdità che può toccare la mente di uno studente alle prese con un processo traduttivo, specie se in preda al panico da compito in classe”. Nella casistica analizzata da Plescia c’è tanto da conoscere: doppi sensi a sfondo sessuale (“Romolo tirò fuori la sua verga e ci tracciò un solco”; “Le vergini entrarono nel tempio e quando ne uscirono non lo furono più”, entrambi di fonte non pervenuta), creature mostruose, oggetti parlanti e poi tante sconosciute versioni del mito, parole inventate, frasi sconnesse.

Il vincitore, infine, è degno di tanta introduzione con il capolavoro, la profonda riflessione filosofica, la grande perla di saggezza, testuale: “Come le navi sono attaccate alle ancore, così nella vita ci si deve attaccare”, che sta per “Non si deve assicurare la nave ad una sola ancora, né la vita ad una sola speranza”, concetto che la matita del vignettista Virgilio Bianchi, a pagina 90, immaginatevi come può aver rappresentato.

Un bestiario, insomma, quello di Antonio Plescia, una piacevole panoramica di come lo studio delle lingue classiche possa “penetrare” la mentalità di uno studente. Una situazione, quella descritta dall’autore, che rappresenta con grande e piacevole leggerezza il diffuso atteggiamento verso le lingue antiche che la scuola tende a relegare tra le discipline “non necessarie”. Ne consegue che i discorsi tendono a perdere di logica e di coerenza a causa di quello che nella prefazione Giusto Traina chiama il “sonno della grammatica”.

E purtroppo quest’ultima non può prescindere dallo studio nè dall’uso del dizionario, anche questo ormai considerato un inutile peso da portare nello zaino, sostituibile con il traduttore telematico, in realtà una fonte di guai sintattici e lessicali su cui l’archeologo blogger potrebbe scrivere il suo prossimo libro.

Gloria Zarletti

 

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