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Non ci deve mancare la voglia di reagire

di | 2020-12-26T12:22:21+01:00 27-12-2020 6:30|Attualità, Sezione 7|0 Commenti

RIETI – “Anno bisesto, anno funesto”: però tu, 2020, te ne sei approfittato! Non essendo superstiziosa non mi ci ero mai soffermata, ma forse i detti popolari qualche origine di verità ce l’hanno. Sei iniziato in sordina, solo con qualche avvisaglia di un virus cinese, poi è stato tutto un crescendo, diventato presto un vortice buio che ha avvolto tutti ed è stato la nostra colonna sonora: non sappiamo cosa troveremo quando saremo fuori, ma sicuramente niente sarà più come prima. Quando si è nel vortice il fisico non sente dolore, troppo impegnato a resistere e difendersi, anche il cervello gioca in difesa e non analizza subito la nuova realtà. E’ solo dopo, quando si inizia a metabolizzare, quando la bufera è passata e si devono fare i conti con i danni e la ricostruzione, che iniziano i guai. Sappiamo come ne siamo usciti nei secoli. Nel ‘900 siamo sopravvissuti a due guerre mondiali, alla spagnola, all’asiatica, ma non sappiamo come reagiremo oggi, perché siamo molto cambiati: ieri non c’erano i social, la scuola funzionava. Gli storici ci dicono che non sono indovini e non possono predire il futuro, ma ci indicano la strada con l’analisi critica della storia, per non ripetere gli errori, studiando i documenti, che ancor oggi aggiungono nuovi elementi.

La ricerca della verità non deve mai avere fine. Abbiamo bisogno di punti di riferimento, di guide illuminate, esempi da seguire, a cui ispirarsi, ma tu, 2020, quest’anno ce ne hai tolti tanti, in tutti i campi: musicali, storici, artistici, sportivi, ci hai tolto le persone migliori tutte insieme: Ezio Bosso, Ennio Moricone, Philippe Daverio, Franca Valeri, Gigi Proietti, per citarne solo alcuni. Siamo culturalmente più soli, in una società sempre più liquida: Zygmunt Bauman ci aveva messo in guardia (e anche Marx: “solo il lavoro, non la finanza, genera ricchezza): Il concetto di comunità, di cui l’essere umano non può e non deve fare a meno (come il lupo che per sopravvivere ha bisogno del branco) ha lasciato il posto a un individualismo sfrenato, dove ognuno è antagonista dell’altro, non più compagno di strada. Un soggettivismo che “ha minato le basi della modernità, l’ha resa fragile, mancando ogni punto di riferimento, tutto si dissolve in una sorta di liquidità – commentò Umberto Eco, un’altra guida che ci manca – Si perde la certezza del diritto (la magistratura è sentita come nemica) e le uniche soluzioni per l’individuo, senza più punti di riferimento, sono l’apparire a tutti costi, l’apparire come valore e ci si rifugia nel consumismo. Però si tratta di un consumismo che non mira al possesso di oggetti di desiderio in cui appagarsi, ma che li rende subito obsoleti, si passa da un consumo all’altro in una bulimia senza scopo”.

Siamo cambiati senza accorgercene, come la metafora della rana: messa in acqua fredda non reagisce, quando si accende il fuoco, l’acqua si scalda piano piano e quando la poverina se ne accorge è già troppo tardi. Se è messa direttamente in acqua bollente, la rana salta subito e si salva. Ci stiamo facendo condizionare, senza accorgercene: bisogna reagire. Che elementi forniremo a chi verrà dopo di noi e non saprà cosa è successo? Siamo sempre meno cartacei: come saranno gli archivi storici tra 50 anni? Siamo bombardati di comunicati stampa, fake news, senza approfondimenti, con una cultura sempre più superficiale e soprattutto manca la voglia di approfondire, manca la curiosità, forse perché si ha paura di conoscere la verità, perché, sempre meno acculturati, non sappiamo più come affrontarla. Pensiamo di essere più informati, perché sempre connessi, invece è il contrario e soprattutto siamo sempre più soli, isolati, chiusi. Ci sono notizie che sono palesemente false, eppure i social ci restituiscono commenti di persone che ci hanno creduto: e sono persone con diritto di voto. Ho tante domande, non ho risposte, voglio continuare a confidare nel genere umano: alla fine ne esce fuori, magari quando tutto sembra perduto: corsi e ricorsi storici di G.B. Vico.

Domenico Pompili, vescovo di Rieti

Come il Covid lascerà il nostro tessuto sociale? “Più diviso e impaurito – risponde il vescovo di Rieti Domenico Pompili -. Però come ricordavano i nostri anziani, il periodo post bellico fu un tempo difficile ed esigente che riuscì a creare le premesse per il miracolo successivo. Anche a noi tocca di sperimentare l’insicurezza. Ma riconosciamolo: venivamo da anni che erano tristi per il troppo e per il troppo a buon mercato. Chissà se il tempo non risvegli migliori energie e propositi collettivi”.

Uno dei film che vorrei fosse trasmesso nei secoli, come messaggio per le nuove generazioni, è “La vita è meravigliosa” di Frank Capra: quanto ha contato e lasciato la vita di una persona in una comunità? Cosa sarebbe andato diversamente se tu non fossi esistito (nel bene e nel male ovviamente). Domande che ci dovremmo porre, oggi più che mai. Nel loro piccolo, 20 giornaliste reatine hanno provato a lasciare un segno, scrivendo ognuna il proprio racconto del lockdown, che, a distanza di anni, sarà un pezzo di storia che racconterà cosa è successo e come è stato vissuto, da più punti di vista, da più età differenti. Venti racconti in cui vengono affrontate molte tematiche, dagli abbracci e sorrisi mancati, allo smart working, alla solitudine, ai comuni in zona rossa, chiusi e presidiati dall’esercito, ai bambini quasi dimenticati, in cui la didattica a distanza lascerà un segno indelebile, al bisogno degli altri, il valore della solidarietà, alle maggiori difficoltà nelle aree interne, dove, allo stesso tempo, c’è un maggior contatto con la natura, con la quale dobbiamo non solo riappacificarci, ma con cui soprattutto dobbiamo fare i conti, per poter ripartire. “Private- venti giornaliste nel tempo sospeso”, Funambolo edizioni, con la prefazione di Barbara Palombelli, i cui proventi sono devoluti al Telefono Rosa, un libro dedicato alle donne uccise durante il lockdown. Può essere un bel regalo di Natale, anche per ripartire dalle donne, per le donne.

Francesca Sammarco

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