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La guerra in Palestina figlia dei nazionalismi

di | 2023-10-20T18:24:57+02:00 22-10-2023 5:15|Attualità, Sezione 4|0 Commenti

ROMA – Il conflitto arabo-israeliano, che si protrae ormai da oltre 70 anni è il risultato tragico del nazionalismo e si è svolto in un contesto di forte conflittualità religiosa. Israele è stato dichiarato uno Stato indipendente il 14 maggio 1948, dopo una politica di decolonizzazione complessa, con gravi responsabilità da parte di Francia e Gran Bretagna. La Palestina non è mai stata una nazione indipendente, essendo stata parte dell’Impero Ottomano fino al 1914. Era una regione scarsamente popolata, con un sistema semifeudale, e la maggior parte degli abitanti erano poveri braccianti al servizio di proprietari terrieri. Nel 1880, la zona contava circa 24.000 ebrei e 150.000 arabi, ma nel 1945 gli arabi erano diventati 1.240.000, mentre gli ebrei erano 553.000. Solo Gerusalemme era una città di qualche importanza.

La fine dell’Impero Ottomano durante la prima guerra mondiale portò alla creazione di mandati francesi e britannici in Medio Oriente e le diplomazie di questi paesi intrapresero diverse iniziative: 1) Si prometteva l’indipendenza ai grandi proprietari arabi in cambio del loro sostegno nella guerra (1915); 2) Il responsabile degli Affari Esteri britannico, Balfour, dichiarò il favore per la creazione di uno stato ebraico indipendente in Palestina (1917). 3) L’accordo segreto Sykes-Picot (1916) stabilì la spartizione dell’intero Medio Oriente in aree di influenza.

Dopo la prima guerra mondiale la Palestina fu assegnata al protettorato britannico ma sia ebrei che arabi si aspettavano una qualche forma di indipendenza. La Gran Bretagna propose una spartizione territoriale limitata ma la crescente conflittualità tra le popolazioni portò a tensioni sempre maggiori. Durante la seconda guerra mondiale, l’immigrazione ebraica fu fortemente limitata a 75.000 persone ma con l’escalation della persecuzione nazista la pressione per l’immigrazione aumentò.

Nel 1947, l’ONU propose la spartizione della Palestina in due parti, con gli ebrei che ricevettero la zona del Negev. Questa proposta fu sostenuta dagli Stati Uniti, dall’URSS e dalla Francia ma respinta da stati arabi, India, Grecia e Pakistan. Nel maggio 1948, quando le truppe britanniche si ritirarono, Israele fu proclamato uno stato indipendente iniziando l’occupazione dei territori palestinesi e scatenando l’opposizione degli stati arabi circostanti.

Le guerre e le tensioni portarono all’occupazione di vaste zone abitate dai palestinesi da parte di Israele e conseguenti espulsioni di palestinesi. Le guerre del 1956, 1967 e 1973 peggiorarono la situazione, portando all’occupazione dei “territori occupati” come le alture del Golan, la striscia di Gaza e la Cisgiordania.

Da allora, il conflitto ha continuato ad aggravarsi, con l’Intifada, la nascita dell’OLP nel 1969, il massacro di Monaco nel 1972 e la guerra del 1973. Nel 1979, l’Egitto firmò un trattato di pace con Israele ma il conflitto rimase acceso in altre regioni, come il Libano.

Nel corso degli anni ’80 e’90 ci sono stati inutili tentativi di mediazione e nessun accordo di pace. Il conflitto è rimasto irrisolto, alimentato dai partiti di destra in Israele e da gruppi come Hamas. Gli attacchi e le controffensive hanno causato numerose vittime, soprattutto civili. Il conflitto arabo-israeliano è principalmente politico, ma spesso è stato erroneamente presentato come una lotta religiosa. Le scelte dei leader politici, soprattutto israeliani, hanno avuto un ruolo significativo nel perpetuare il conflitto, impedendo una soluzione definitiva.

Gianni Tassi

 

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