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“La felicità dipende da noi stessi”: la lezione di Aristotele

di | 2023-08-25T00:23:57+02:00 27-8-2023 5:45|Cultura, Sezione10|0 Commenti

MILANO – Esiste la formula della felicità? Se fossero solo undici piccole regole a regalarla agli esseri umani? Per quanto possano cambiare i tempi, le mentalità, le mode e le aspettative, la concezione di felicità è e sarà sempre cara all’essere umano e i filosofi dell’antica Grecia, ne hanno cercato l’essenza. Ma che cos’è la felicità? Gli antichi greci la chiamavano eudaimonìa, (da eu=bene, daimon=spirito), letteralmente la condizione di uno “spirito buono”, cioè di chi è posseduto da un buon demone, da una buona sorte che gli permette di prosperare: l’effetto è una tonalità dell’anima lieta, positiva e stabilmente piacevole. Ogni filosofo dava poi la sua ricetta per raggiungerla.

Aristotele nell’Etica nicomachea si è più volte chiesto “che uomo dovrei essere?”, domanda ben diversa dalla più comune “cosa dovrei fare per essere felice?”. Il grande filosofo ha sempre visto l’uomo come un animale sociale, dedito alle relazioni e al gruppo. L’essere umano è fatto per esplorare il mondo e se stesso, senza aver un percorso da attuare, senza chiedersi chi potrebbe essere, non può sapere cosa fare per essere felice. Ha così formulato undici semplici regole, per stravolgere in positivo la propria vita e dire che c’è una via per l’eudemonia. La vita è il risultato dell’azioni dell’uomo che vertono rispetto una condizione di benessere e prosperità elevata. Non si considera soltanto l’aspetto fisico, ma anche ciò che abita di più intimo nel cuore, nella mente e nello spirito. Un uomo con il suo spirito non può che andare oltre la concezione dell’uomo medio ed esplorando si è reso conto che per essere felice bisogna concentrare le risorse e le energie rispetto sé stesso.

Questo si riflette sul mondo intero e di conseguenza vivere diventa davvero un’esperienza felice. L’Eudemonia consta nel vivere bene e prosperare. Si raggiunge virtuosamente. Le virtù sono aspetti caratteriali e tendenze, che se attuate con continuità incarnano ottime abitudini. Gli uomini virtuosi diventano un esempio per se stessi e gli altri e la società risulta migliore. Gli uomini sono il “mezzo aureo” che permettono di conquistare l’obiettivo. Coraggio, una persona lo è davvero quando con la consapevolezza dei pericoli, combatte per i propri sogni. Tolleranza che deve essere tra l’eccesso e la penuria. Infatti, per Aristotele fa male sia l’uomo che beve troppo (non tollerante), che quello che non lo fa mai (lo è troppo), questo perché ci vuole la giusta via di mezzo.

Ancora c’è la liberalità, cioè dare agli altri più di quanto si possegga. Questo riferito appunto al fare del bene al prossimo. Magnificenza, sapere di essere grandi e aspirare al massimo, ma senza ostentarlo. Magnanimità, essere al servizio del prossimo con bontà e non essendo vittime dell’orgoglio. Pazienza, evitare gli scatti d’ira, sfogarsi va bene, ma davanti alle avversità mostrarsi calmi e sereni, le si affronta meglio. Veridicità, l’onestà ripaga sempre, anche quando sembra impossibile e potrebbe causare guai. Tutta la verità torna al mittente. Arguzia e cordialità constano nell’arte di stare con gli altri con vero umorismo, senza cadere nel volgare o nell’invadenza. Vergogna, capire fino a che punto ci si può spingere, senza diventare uno svergognato o uno troppo timido per agire. Ultima, ma non meno importante, è la giustizia: ideale che anima tutte le cose, si agisce per il giusto.

“La soluzione è applicare queste regole in base alla situazione che si sta vivendo e secondo la propria accezione morale”: in questo modo si aspira all’uomo che si desidera essere, virtuoso e felice nella società in cui vive. In epoca moderna sono molte le teorie sulla felicità, in verità non molto più originali di quelle antiche. Se c’è una differenza, forse, è dovuta al peso che la socialità ha nella sua realizzazione: partendo dal presupposto che non si può essere felici da soli – un presupposto che tiene conto della naturale disposizione degli umani alla vita sociale – fa la sua comparsa il principio dell’utilità. Bisogna cioè operare affinché il maggior numero sia felice. La felicità è anche una questione collettiva e ogni individuo ne è responsabile.

Al tema della felicità, il pensatore greco ha dedicato tutto il primo libro e gli ultimi cinque capitoli del decimo libro dell’Etica Nicomachea. Per raggiungere l’eudaimonìa, secondo Aristotele, bisogna però tenere in considerazione la natura dell’uomo, che per il filosofo è l’animale più perfetto tra tutti perché dotato di uno spirito complesso. Il principio dell’equilibrio è valido anche in merito alle passioni: non sarà infatti felice colui che eviterà i piaceri terreni, ma solo chi saprà controllarli. C’è un solo, possibile, impedimento: per Aristotele questa condizione può realizzarsi solo quando si è liberi di scegliere ciò che può appagare i propri bisogni e la fame di conoscenza. Secondo il filosofo, il principio della libertà “si trova nell’agente che conosce tutte le circostanze particolari dell’azione”, da cui dipendono l’esercizio delle virtù e il conseguente raggiungimento della felicità.

Non si deve quindi avere paura di agire, di prendere decisioni e difendere ardentemente la propria libertà intellettuale. Seguendo i consigli di Aristotele, la ricerca della felicità sarà un’intrigante percorso di autocoscienza. Inaccettabile per Aristotele è anche l’identificazione della felicità con il possesso di grandi ricchezze: la felicità è il bene supremo e dunque costituisce il fine ultimo delle azioni umane, mentre la ricchezza è un mezzo del quale ci si serve in vista di altro. “La felicità dipende da noi stessi”, affermava Aristotele che siamo il nostro unico punto di forza per raggiungere la condizione di “spirito buono”.

Claudia Gaetani

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