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Il culto dell’acqua in Sardegna fra leggenda e superstizione

di | 2021-02-26T20:19:15+01:00 28-2-2021 6:20|Cultura, Sezione 5|0 Commenti

NUORO – L’acqua è l’elemento naturale più prezioso per la vita. L’acqua potabile, in particolare, è una risorsa primaria che permette la sopravvivenza degli esseri viventi nonché fondamentali attività umane. È la componente più importante della nostra alimentazione, la maggior parte del nostro organismo è costituito di acqua e, fin dall’antichità, se ne testimonia il suo uso abituale. Il culto delle acque in alcune località della terra, Sardegna in primis, risale alla preistoria dove se ne è fatto largo uso arrivando addirittura a venerare questo composto chimico come fosse una divinità. Il culto dell’acqua in Sardegna è considerato un simbolo universale della vita e testimonianza della fertilità. Pozzi, fonti sacre e templi di diversi tipi, ma anche vasche, piscine e bacini lustrali, sono tutti elementi che convergono nell’indicare nell’acqua uno degli elementi principali di rituali e cerimonie.

Il Pozzo Sacro di Santa Cristina a Paulilatino (Oristano)

Tuttavia i dettagli di tali culti, nonché l’identità delle divinità ci sfuggono o si perdono nel tempo, così come si sono ormai dimenticate le numerose leggende che in passato si raccontavano ai bambini per spiegare la presenza nell’isola di costruzioni in pietra dedite al culto dell’acqua. In Sardegna il culto dell’acqua ha sempre avuto un ruolo molto importante, ne sono testimonianza i tanti siti archeologici e i documenti storici arrivati ai tempi moderni, compresi i maestosi pozzi sacri che oggi popolano le campagne sarde. Il mondo dell’adorazione dell’acqua in Sardegna fu vasto, complesso e molto affascinante. Si pensa che esso sia sempre esistito fin dal Paleolitico ma con l’epoca nuragica i rituali dell’acqua si sono sviluppati concretamente. Alla comparsa dei primi pozzi sacri è collegata la grande produzione di bronzetti sardi spesso rinvenuti proprio vicino ai luoghi di culto dedicati all’acqua. Guerrieri, eroi e misteriose figure antropomorfe.

Nell’isola, per molto tempo, e nelle parti più interne della Sardegna ancora oggi, si sono sempre celebrati due culti. Il primo, quello riguardante le acque freatiche o di fonte, sembra essere stato sempre prediletto dai pastori che preferivano l’acqua di fonte a quella piovana. Essi ritenevano che l’acqua di fonte, poiché era generata direttamente dalla Madre Terra e non era caduta dal cielo, non fosse soggetta al ristagno, e fosse pertanto più pura. Il secondo rito era invece legato alle acque piovasche ed era celebrato dalle popolazioni contadine e dedite all’agricoltura con diversi rituali e processioni volte a far piovere. Con il passare del tempo questi riti hanno subito numerose modifiche e si sono evoluti nel tempo. Se nell’antichità si adorava Maimone, antica divinità fenicia della pioggia, ancora oggi presente in Ogliastra e in alcuni centri della Barbagia, alla quale si dedicavano processioni e giornate di riposo, oggi si pregano i santi, Gesù o Maria per chiedere loro aiuto in caso di penuria d’acqua, mantenendo però nel corso del tempo una traccia degli antichi riti.

I rituali legati all’acqua e diffusi in tutta l’isola sono davvero tanti. L’acqua delle fonti ad esempio garantiva la fertilità e la salute, così presso di queste i viaggiatori andavano spesso a pregare o ad attingere il prezioso liquido per curare le malattie del corpo e dello spirito. Una grande studiosa di tradizioni popolari sarde, Dolores Turchi, raccontava che le madri dei bambini che tardavano a parlare conducevano i propri bimbi presso le chiese campestri di Sant’Antonio. Qui si trovavano delle statue dedicate al santo dotate di una piccola campanella che, una volta fatta tintinnare e riempita d’acqua, aiutava il bimbo a parlare presto se lui avesse bevuto almeno tre sorsi dalla stessa acqua versata al suo interno. Un altro rituale antico che si svolgeva nel piccolo paese di Usellus, in provincia di Oristano, era di solito praticato per scongiurare le malattie cutanee. Il malato, al mattino, si rotolava nella rugiada fresca, mentre in diverse zone dell’isola si riteneva che un buon modo per preservarsi dai mali per tutto l’anno fosse di cospargersi di acqua di mare nella notte di San Lorenzo.

I pozzi sacri erano luoghi di raccolta di pellegrini che arrivavano da tutte le parti dell’isola. Qua dei sacerdoti amministravano il pozzo e i riti, accogliendo i fedeli durante tutto l’anno, ricevendo offerte per le divinità e diventando intermediari di queste ultime, curando e benedicendo i tantissimi che passavano per quel luogo in cerca di una grazia di qualche tipo. In alcuni casi singolari il pozzo diventava anche un luogo di giustizia, un tribunale in cui era praticata l’ordalia, antica pratica giuridica secondo la quale l’innocenza o la colpevolezza dell’accusato venivano determinate sottoponendolo ad una prova dolorosa o a un duello. La determinazione dell’innocenza derivava dal completamento della prova senza subire danni oppure dalla vittoria nel duello. Il popolo sardo ha sempre avuto un rapporto contrastante con le divinità e le creature che hanno abitato o amministrato le acque dell’isola, considerandole a volte positive e altre negative e diaboliche. Ai bambini del paese di Nurachi si raccontava che vicino ai corsi d’acqua e ai laghi abitasse su boi forraniu, un mostro con la testa del bue e il corpo ricoperto di squame.

L’acqua era pertanto considerata un luogo in cui trovavano dimora di spiriti maligni, guardiani protettori dell’acqua dopo le otto di sera, oppure luogo che durante la notte ospitava spiriti come le panas, le donne morte di parto. Secondo alcune leggende tramandate nel tempo, il culto dell’acqua in Sardegna era collegato alla luna che rifletteva i suoi raggi sull’acqua. Essa, creando meravigliosi effetti e giochi di luce, impressionava sia gli officianti che i fedeli, durante il plenilunio, nelle notti tra dicembre e febbraio. Allo scoccare della mezzanotte la luce della luna cadeva perpendicolarmente sullo specchio dell’acqua e il riflesso argenteo della luce, risalendo le scale, fuoriusciva dal pozzo.

Il Santuario di Santa Vittoria di Serri

Nel più importante santuario della Sardegna centrale, quello di Santa Vittoria di Serri, il pozzo non raggiungeva la falda ma era alimentato da fori praticati nella muratura che raccoglievano l’acqua piovana. Ciò fa presumere che esso non si era sviluppato attorno al pozzo sacro ma era presente prima di esso. Anche nel pozzo di Is Clamoris di Escalaplano l’acqua era incanalata dal fiume che scorreva poco distante dal complesso nuragico. Questo dimostra che in antichità ciò che aveva più valore non era tanto la sorgente d’acqua quanto il rito specifico che veniva praticato in quel luogo. In Sardegna vi sono anche sorgenti di acque minerali ed effervescenti nonché altre sorgenti di portata costante che non sono state trasformate in templi e molti pozzi sacri sono comunque legati a sorgenti, come per esempio quello di Funtana Coberta di Ballao, che raggiunge una falda acquifera non particolarmente profonda ma abbondante. In alcuni casi il pozzo era scavato nel terreno. Questo fa presumere che potesse essere la profondità ad avere un valore come elemento per raggiungere il mondo sotterraneo, rendendo il culto dell’acqua un possibile culto a divinità sotterranee, forse legate alla madre terra. È il caso della fonte del santuario nuragico di Gremanu che fa sgorgare l’acqua raccolta da una cisterna costruita come un pozzo e quella del complesso nuragico di Romanzesu coperta da una tholos e dotata di gradini di accesso.

Oggi questi rituali legati al culto dell’acqua sembrano spariti, ma il culto delle acque è un culto millenario che non è mai sparito davvero, si è piuttosto adattato e trasformato. La sua importanza per i popoli dell’isola fu talmente grande che entrò a far parte in modo integrante delle loro vite e ancora oggi fa sentire le sue eco lontane e misteriose nelle parole degli anziani e nelle storie raccontate ai bambini.

Virginia Mariane

Nell’immagine di copertina, il pozzo sacro di Tempiesu Orune

Amante del buon cibo, di un libro, della storia, dell’archeologia, dei viaggi e della musica

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