//Cyberbullismo. Alla Galvani Opromolla incontro con l’ex senatrice Elena Ferrara

Cyberbullismo. Alla Galvani Opromolla incontro con l’ex senatrice Elena Ferrara

di | 2021-04-16T11:25:30+02:00 16-4-2021 11:23|Alboscuole|0 Commenti
Nonostante la Didattica a distanza, alla “Galvani – Opromolla” gli studenti hanno avuto la possibilità di incontrare, tramite piattaforma Google Meet, l’ex Senatrice della Repubblica Italiana, Elena Ferrara, promotrice e prima firmataria della legge 71/2017 contro il Cyberbullismo. La Ferrara si è resa disponibile a condividere il suo punto di vista con gli studenti della scuola guidata dalla preside Anna Scimone. Ad intervistarla il professor Luigi Novi, insegnante di Lettere dell’istituto angrese.   Partiamo dalle origini della legge, nata in seguito ad una vicenda che ha coinvolto una sua ex alunna.   “Carolina Picchio si è tolta la vita il 5 gennaio del 2013. Era stata mia alunna alle medie, ma nel passaggio alle superiori si era trasferita nel capoluogo di provincia, a Novara, e quindi era qualche tempo che non la frequentavo più. Tutto era iniziato durante una festa di suoi coetanei, quando alcuni ragazzi avevano girato con il cellulare un video di Carolina che si trovava in bagno priva di coscienza. Questo video, in cui si simulavano degli atti sessuali nei suoi confronti, venne pubblicato e in breve tempo Carolina fu ricoperta di insulti molto pesanti. Nonostante fosse una ragazza forte, una giovane donna con molte frecce al suo arco, probabilmente in quel momento ebbe uno shock emotivo. A seguito della pubblicazione del video Carolina si tolse la vita gettandosi dal balcone della propria abitazione, lasciando una lettera nella quale si rivolgeva direttamente ai bulli e si complimentava con loro per le loro azioni, per il loro “ottimo lavoro”, per essere riusciti “farcela”. Nonostante il momento tragico Carolina ebbe la lucidità di lasciare la sua testimonianza, che poi si sarebbe rivelata preziosa per indirizzare le indagini. Scrisse anche i nomi di quelli che lei riteneva avessero contribuito a organizzare questo atto sconsiderato, di pubblico ludibrio, legato al video. Questo ha innescato un processo nel quale i ragazzi si sono dichiarati responsabili di una serie di capi di imputazione ma allo stesso tempo hanno chiesto la messa alla prova, ottenendo nel 2019 il perdono giudiziario. Questo episodio mi ha spinto a lavorare ad una proposta normativa a tutela delle vittime di bullismo e cyberbullismo in ottica di prevenzione che poi è diventata legge”.   Una legge che non è stata approvata però con uno schiocco di dita. Un percorso che non è stato semplice.   “No, non è stato semplicissimo. Era un argomento nuovo, il Parlamento non lo aveva mai affrontato. Questa è una legge di diritto mite che guarda alla dignità del minore e inserisce degli strumenti di tutela nel mondo digitale, un ambito piuttosto nuovo. C’erano altre proposte di legge che avevano un approccio diverso, più sanzionatorio, mentre la mia norma non entra nel merito del penale. Per quest’ultimo aspetto, non lo dico io ma gli operatori di giustizia, ci sono già tutte le fattispecie di reato utili nell’online per poter stigmatizzare, condannare anche delle condotte inappropriate e/o criminose. Per questo motivo ho lavorato più sulla parte della prevenzione, ipotizzando una scuola che attiva una specifica programmazione e attività  di gestione delle segnalazioni in funzione di questo problema che è molto più subdolo rispetto al bullismo tradizionale che in qualche modo l’insegnante riesce ad intercettare. Qui si tratta davvero di prevenire e accendere delle luci, alzare le antenne, su certi fenomeni. Fenomeni che sono sulla rete per cui un insegnante riesce magari solo a vedere i sintomi di un ragazzo che perde fiducia in se stesso, che non riesce a studiare, che non riesce a dormire la notte. A fronte di questi segnali è opportuno interrogarsi, tra le altre cose, anche sulla sua vita online, cosa che non era nella cultura fino a qualche anno fa e ancora adesso non sempre viene preso in considerazione. Quindi, anche rispetto alla vita familiare, la scuola ha un compito importante che può esercitare anche invitando a fare una didattica partecipativa e online, che veda i ragazzi come soluzione del problema della prevaricazione fra pari. Una scuola che si adatta, sia con le procedure, i progetti, le attività, le verifiche, i monitoraggi, la formazione per gli insegnanti, un referente per ogni istituto, sia con gli strumenti che sono stati messi a disposizione attraverso le linee guida ministeriali, i numeri verdi e la rete con tutte le istituzioni che possono coadiuvare la scuola ad affrontare il fenomeno. Si tratta infatti di sostenere le vittime e prendersi carico dei bulli, ma anche di agire sul gruppo-classe e sul contesto in cui si è sviluppata la prevaricazione”.   Il fenomeno del cyberbullismo esiste anche fuori dalle mura scolastiche. Cosa ci dice a tal proposito? “Bisogna creare un sistema più ampio, che riguarda la comunità, un’alleanza che coinvolga tutte le agenzie educative. Quando una vittima effettivamente ha bisogno di essere presa in carico, curata, così come un bullo, la scuola deve poter avere intorno dei servizi territoriali in grado di interagire, così come deve poter contare sulle forze dell’ordine, le istituzioni, gli enti locali, che possano affrontare un fenomeno niente affatto minimizzabile e peraltro molto complesso. Quando gli episodi sono ricorrenti e di una certa gravità la scuola deve potersi rivolgere a operatori di servizi esterni socio-sanitari, di giustizia minorile, ecc. per una presa in carico anche di cura in grado di coinvolgere i ragazzi e anche le famiglie che spesso sono inconsapevoli, forse anche più dei figli”.   Quali sono i cambiamenti importanti portati da questa Legge?   “Le scuole, in risposta alla legge e alle Linee di orientamento previste dalla stessa, hanno attivato strategie, peer educator, sportelli, sensibilizzazioni e formazione anche del personale ATA per avere le segnalazioni che possano permettere di intervenire in modo adeguato. Le segnalazioni sono cresciute anche se non sempre i ragazzi sono adeguatamente informati sulla legge e sulle misure contenute. La norma deve essere ancora conosciuta da studenti e famiglie per poter fare la differenza. Per questo da tanti anni sto facendo formazione e testimonianza nelle scuole con tutte le componenti. È importante che la legge ci sia ed è importante che tutti la conoscano, anche i genitori. Stiamo un po’ risalendo la china da questo punto di vista. Ho riscontrato che i ragazzi mediamente sono maggiormente informati sulle principali misure di tutela e soprattutto sono attenti al fenomeno del cyberbullismo, però fanno ancora fatica a segnalare, fanno fatica a pensare che non ci siano ritorsioni nel momento in cui segnalano, utilizzano troppo poco le policy, i dispositivi di allarme pur presenti nelle varie piattaforme social, dimostrano ancora troppa diffidenza nel rivolgersi ad un adulto di riferimento. Tenga presente, inoltre, che rispetto al bullismo tradizionale la metà  dei ragazzi che si dichiara vittima di cyberbullismo, si dichiara anche autore di condotte di cyberbullismo. Vittime e responsabili alla fine sono da considerarsi altrettanto bisognosi del nostro aiuto. Le vittime non si devono sentire sole nella loro sofferenza e i responsabili devono sapere che condotte disdicevoli saranno affrontate seriamente senza criminalizzare, ma con fermezza. È quindi necessario creare una rete molto importante e sinergica fra i vari servizi e istituzioni”.   A proposito di pandemia e didattica a distanza. Qual è il suo pensiero?   Il Covid-19 ci ha indotto a un’accelerazione importante nell’uso delle tecnologie. Sicuramente oggi, per via del distanziamento sociale, le relazioni fra pari sono in gran parte online. Per fortuna si stava già lavorando su questi temi, perché credo che sarebbe stato ancora più pervasivo il fenomeno in mancanza di cultura, di alfabetizzazione. Penso sia importante comprendere che per confrontarsi con le piazze virtuali bisogna essere dotati di opportune competenze critiche e maturità personale. Per questo prima dei 13 anni non si può essere registrato ad un social network. Per avere maggiore consapevolezza dei rischi e opportunità è inoltre necessario provvedere ad un’educazione alla cittadinanza digitale appannaggio in primis delle due agenzie educative: la famiglia e la scuola”. Luigi Novi