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Ad Agrigento fioccano le polemiche sul Telamone innalzato

di | 2024-04-03T19:12:28+02:00 7-4-2024 5:20|Arte, Sezione 5|0 Commenti

PALERMO – Il Telamone, colosso in pietra di circa otto metri, è tornato in posizione eretta a fine febbraio scorso nel Parco archeologico di Agrigento: sarà uno dei simboli della città, capitale italiana della cultura per il 2025. L’opera di ricostruzione dei pezzi, iniziata già nel 2006, è stata infatti completata e i resti del Telamone sono stati assemblati su uno scheletro di acciaio, posto poi in verticale.

Il Telamone era una delle statue che raffiguravano Atlante: il titano che, per aver osato sfidare con i suoi fratelli il grande Zeus, venne da questi condannato a reggere per sempre la volta celeste. Secondo le ricostruzioni archeologiche, la statua reggeva la trabeazione del tempio di Zeus Olimpio, eretto dopo la vittoria del 480-479 a.C. sui Cartaginesi, quando Agrigento, allora chiamata Akragas, era governata dal tiranno Terone. Il tempio, il maggiore all’interno dell’antica Akragas, era anche uno dei più grandi dell’antichità. Descritto come magnifico da Diodoro Siculo e celebrato da Polibio, si calcola fosse grande come un campo di calcio e alto come un palazzo di 13 metri.

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Purtroppo nel 1401 l’intera costruzione crollò completamente per un terremoto. E, come ricorda con rammarico Andrea Camilleri nel libro La strage dimenticata, a metà del 1700 una parte dei resti del tempio furono addirittura utilizzati come materiale per realizzare i moli di attracco della cittadina di Porto Empedocle. Solo nel 1928 fu poi effettuata una campagna di scavi che riportò alla luce altri reperti risalenti al tempio di Zeus, tra cui i resti di quattro telamoni. Quello ora innalzato e ricostruito interamente (con il sostegno economico della Regione Siciliana) è frutto dell’assemblamento dei resti dei quattro giganti di pietra.

Subito dopo la presentazione ufficiale del Telamone in posizione verticale, il Museo archeologico nazionale di Venezia, dalla sua pagina Facebook, ha però ironizzato sulla poderosa figura e sull’intera operazione culturale messa in campo dal Parco archeologico di Agrigento. Il Telamone, infatti, viene messo a confronto con una statua romana di Marco Agrippa, ammiraglio dell’imperatore Augusto (esposta nel museo veneziano) e si ipotizza di incidere su una sorta di marmorea lapide virtuale queste parole: «Da un lato abbiamo una scultura colossale, eretta in un contesto artistico di valore mondiale, che svetta imponente ed emoziona il pubblico per forza evocativa e massa monumentale. Dall’altra abbiamo un Telamone. Messer Agrippa vi aspetta al Museo archeologico nazionale di Venezia. Cosa aspettate?».

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Il post è stato poi cancellato, ma intanto era divampata la polemica. L’architetto siciliano Francesco Ferla ha scritto così al direttore del Museo archeologico nazionale di Venezia: «Abbiamo letto il pessimo post della vostra pagina, e siamo rimasti stupefatti. (…) Il post ridicolizzava il telamone del 480 a.C. del Tempio di Zeus di Akragas e lo metteva in una gara improbabile con una vostra opera. Nessuno di noi ha mai pensato di paragonare uno dei nostri preziosissimi kouroi greci con la vostra statua romana. Le gare sul patrimonio artistico non ci interessano. Stiamo parlando dell’area archeologica di Agrigento, una delle più importanti del mondo. Il telamone irriso faceva parte del più grande tempio della grecità: forse occorrerebbe un po’ di rispetto».

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Ma, commenti veneti irriverenti a parte, il Telamone innalzato non piace neppure al siciliano Alfonso Leto, pittore e critico d’arte, che, sempre su Facebook, scrive: “A me questa ‘operazione innalza-Telamòne’ sembra più ‘un’idea grande’ che ‘una grande idea’. Mi ricorda piuttosto una frase di Viaggio al termine della notte di Cèline quando Bardamu parla di come si vuol morire: cremazione o sepoltura? ‘Meglio essere tumulati interi, che arrostiti; in fondo uno scheletro somiglia di più ad un uomo’. E qui mi pare che siamo proprio ‘allo scheletro’: un pupazzo piuttosto buffo, direi, per via delle sue consunzioni e mutilazioni plastiche dovute all’usura del tempo… Uno scheletro messo in piedi (assemblando pezzi di vari telamoni): posizione innaturale per dei ‘resti antropomorfi’ che la posizione orizzontale avrebbe meglio presentato e fatti accettare: nell’austerità irreversibile della ‘rovina’, del loro eterno e indisturbato riposo”.

Che dire? Al di là del controverso posizionamento del Telamone, chissà quanto se la ride il grande Zeus, dall’alto dell’Olimpo, per questo vano cianciare quaggiù tra i mortali…

Maria D’Asaro

 

Già docente e psicopedagogista, dal 2020 giornalista pubblicista. Cura il blog: Mari da solcare
https://maridasolcare.blogspot.com. Ha scritto il libro ‘Una sedia nell’aldilà’ (Diogene Multimedia, Bologna, 2023)

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