//Il territorio si racconta: Il museo dell’Emigrazione Lucana presso Castel Lagopesole (PZ)

Il territorio si racconta: Il museo dell’Emigrazione Lucana presso Castel Lagopesole (PZ)

di | 2020-12-21T20:10:11+01:00 21-12-2020 18:09|Alboscuole|0 Commenti
Di Redazione   L’immigrato ha un mondo del passato a cui appartiene e un mondo del presente al quale sempre, più o meno, sarà estraneo; suo figlio invece sta in tutti e due e molte volte in nessuno. (Antonio Muñoz Molina)   In Basilicata, in quella parte d’Italia che in molti sui social si divertono a porre insieme al Molise nel limbo delle terre leggendarie italiane, esiste un piccolo borgo, sperso tra le colline che animano il territorio in provincia di Potenza: Castel Lagopesole, una frazione di  Avigliano che conta poco meno di 600 anime. Inutile cercare il lago! Fu prosciugato dai Doria, signori di quei territori, nel 1900 dopo che la distesa d’acqua, alimentata da una sorgente sotterranea, si trasformò in una palude acquitrinosa. Tolto il lago, del toponimo resta da ammirare il maestoso castello, costruito in epoca medievale su di un’altura a 800 metri. Un primo nucleo fu fondato dai normanni per poi essere rimaneggiato e ampliato  dall’imperatore   Federico II. Il maniero è stato recentemente restaurato e, come spesso accade a questo tipo di monumenti, adibito a contenitore culturale. Da qualche anno, infatti, nelle sale superiori è stata realizzata un’esposizione multimediale sulla storie dell’emigrazione lucana. il museo è strutturato in maniera tale da lasciar riflettere su un fenomeno così articolato e complesso, attraverso le storie degli emigranti lucani dei primi del novecento.  il percorso espositivo è organizzato intorno alle varie fasi del viaggio dalla Basilicata verso il continente americano: la richiesta dei documenti presso l’ufficio locale, il saluto alla famiglia, i bagagli e i sacchi che servivano per il viaggio, il viaggio a bordo del carretto fino a Napoli, il viaggio in mare, le condizioni di vita a bordo delle navi, i test fisici e psico –  attitudinali a cui tutti gli immigrati avrebbero dovuto sottoporsi una volta arrivati a destinazione. Le diverse storie sono raccontate attraverso dei video che interagiscono con i visitatori, la ricostruzione di oggetti d’epoca parlanti come i bauli utilizzati per il viaggio, le cabine delle navi e i letti sui quali ci si può sedere e ascoltare le storie di viaggio. Tutto ciò permette di vivere non solo a livello intellettuale quelle pagine di storia personali, ma anche e soprattutto a livello esperenziale ed emozionale. È un percorso che permette davvero di indossare i panni di chi emigrava , di camminare un po’ nelle loro scarpe, e di conseguenza nelle scarpe di tutti coloro che sono ancora oggi nella condizione di dover emigrare. Permette inoltre di percepire come sia progredita in tante cose la nostra civiltà, ma come per tante altre sia regredita. Fanno riflettere ad esempio le misure di identificazione alla partenza e all’arrivo a new York dei migranti; misure che sembrano più organizzate e capillari rispetto a quanto accade oggigiorno. Le tante fotografie di volti che tappezzano i corridoi dell’esposizione, sono esse stesse documenti di una condizione di vita che potrebbe non riguardarci più in quanto nazione, ma che invece ci riguarderà sempre in quanto essere umani. Sono foto di volti su cui domina la tristezza e lo sgomento per un futuro tutto da vivere, che per quanto potesse essere immaginato, non poteva essere ancorato a nessuna categoria del presente che  quella gente abbandonava, e per cui non poteva che essere spaventoso. Un museo commovente, che mettendo in mostra il passato e le storie di quegli uomini aiuta a riconsiderare il presente e questi uomini, questi nuovi migranti, spesso senza neanche una valigia a seguito ma con gli stessi occhi tristi dei migranti lucani di inizi ‘900.