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Tsukumogami, ecco la scodella con l’anima

di | 2018-02-26T10:10:02+01:00 26-2-2018 8:15|Sezione 8, Viaggi|0 Commenti

PALERMO – Anche gli oggetti hanno un’anima. In Occidente, lo ricorda Bertolt Brecht con questa lirica: Fra tutti gli oggetti i più cari sono per me quelli usati, storti agli orli e ammaccati, i recipienti di rame, i coltelli e forchette che hanno di legno i manici, lucidi per tante mani. Penetrati nell’uso di molti, spesso mutati, migliorano forma, si fanno preziosi perchè tante volte apprezzati persino i frammenti delle sculture, con quelle loro mani mozze, li amo. Anche quelle, vissero per me.

In Oriente, lo sanno da sempre in Giappone: gli oggetti possiedono un’anima, data dalla loro essenza, dal modo di usarli che li impregna del carattere delle persone che li adoperano. Gli spiriti degli oggetti si chiamano Tsukumogami e, secondo la credenza giapponese, esistono per ogni oggetto che abbia compiuto almeno cento anni. Lo spirito assume poi caratteristiche diverse in base al modo in cui gli oggetti vengono curati, afferrati, donati, conservati, gettati. Una grattugia centenaria animata denominata Yamaoroshi; una teiera posseduta da uno spirito si chiama morinji-no-okama.

Secondo tale convinzione, gli tsukumogami, spiriti delle cose, differiscono sia in base al tipo e alle condizioni dell’oggetto da cui traggono origine, sia in base all’uso che di esso è stato fatto. Se l’utensile è stato gettato via senza rispetto, perchè ritenuto ormai inutile, oppure trattato male o rotto, la sua anima sarà uno spiritello maligno, magari in cerca di vendetta, e anche il suo aspetto non sarà positivo; in caso contrario, lo spirito avrà un aspetto benevolo e si manifesterà  solo in modo inoffensivo.

Ancora oggi in Giappone si svolgono delle cerimonie per dare consolazione e rendere grazie agli oggetti ormai vecchi e inutilizzati, ma anche per evitare ritorsioni da parte degli utensili le cui anime potrebbero trasformarsi in spiriti malevoli. Tali riti si chiamano kuyou (cerimonia funebre) e consistono nello inscenare una sorta di funerale del vecchio oggetto; alla fine di tale rito, l’oggetto viene distrutto. Molto noto è il funerale delle bambole (Ningyou kuyou), che si svolge in alcuni templi di solito ad ottobre. Durante tale cerimonia, si rende l’estremo saluto alle bambole amate, ma ormai non più desiderate perchè rotte o vecchie. Si prega per loro e si ringraziano per il compito svolto; infine vengono bruciate e affidate alla benevolenza di Kannon, signore della compassione. Famoso anche il rito funebre dedicato agli aghi da cucito rotti (Harikuyou) che si tiene ogni anno l8 febbraio in diversi santuari del Giappone, con lo scopo di ringraziare gli aghi per il lavoro svolto e pregare per loro. Secondo la tradizione, le sarte giapponesi nel giorno dedicato, si riposano dai lavori quotidiani di cucito, e ne approfittano per mostrare gratitudine e rispetto ai vecchi aghi rotti e ossidati mettendoli in torte di tofu o konnyaku.

Nella società  consumistica, ben pochi oggetti possono raggiungere il traguardo del secolo di vita e aspirare cosa a divenire tsukumogami. Il rispetto verso gli oggetti si deve comunque manifestare non sprecandoli e non ammassandoli senza costrutto. Per evitare che i giapponesi esclamino “Mottainai” cioè un vero spreco”.

Già docente e psicopedagogista, dal 2020 giornalista pubblicista. Cura il blog: Mari da solcare
https://maridasolcare.blogspot.com. Ha scritto il libro ‘Una sedia nell’aldilà’ (Diogene Multimedia, Bologna, 2023)

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