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Perché stare dalla parte dei calciatori iraniani

di | 2022-11-26T18:36:56+01:00 27-11-2022 6:10|Sezione 3, Sport|0 Commenti

PERUGIA – L’Italia di Mancini non ce l’ha fatta ad entrare nel mondiale del Qatar, ma non resterò un vedovo del tifo. Ho già scelto la nazionale per cui simpatizzare, anche se nelle cattedrali del deserto qatariota, non andrà lontano. Troppo facile e scontato puntare sull’Argentina di Messi o sulla Germania di Neuer, sul Portogallo di Cristiano Ronaldo o sul Brasile di Neymar, sulla Francia di Mbappè o sull’Olanda di Van Dijk, sull’Inghilterra di Kane o sulla Spagna di Pedri… No, mi sono indirizzato verso una squadra minore, di sconosciuti, che è alla sua quinta qualificazione e che non è mai riuscita a superare il primo turno, ma che si presenta con elementi tosti, fieri, temerari. Più fuori, per la verità, che non sul rettangolo verde.

Sventolerò i colori della nazionale dell’Iran. Sì: io sto col popolo iraniano. Poco so del loro calcio, ignoro i nomi di quasi tutti i giocatori, conosco a malapena la vicenda di Carlos Queiroz, il portoghese giramondo che li allena e neppure mi interessa, che abbiano subito, alla prima uscita, una pesante lezione di gioco dall’Inghilterra che li ha letteralmente strapazzati (6-2): mi sento, fortemente, indissolubilmente solidale con lo strenuo coraggio dei componenti di questo team e della gente che rappresentano. Uomini che, a rischio della propria vita (nella loro terra la repressione non si pone limiti), hanno assunto una posizione netta, precisa, orgogliosa contro la teocrazia degli ayatollah, contro Khamenei e contro Raisi, perché privano i cittadini dei diritti fondamentali, delle donne in primis, ma non solo: della libertà e delle altre prerogative basilari di un’intero popolo.

Il particolare che questi calciatori abbiano avuto nella prima partita la forza di non intonare, come forma di protesta contro la repressione in atto nel paese, l’inno nazionale al momento della presentazione delle squadre, me li rende particolarmente cari. Una scelta di campo inequivocabile. Le statistiche dell’Unicef – che sono, purtroppo, in continuo aggiornamento – dicono che dalla morte di Masha Amini, 22 anni, uccisa senza pietà lo scorso 16 settembre, perché non indossava correttamente il velo prescritto, sono stati assassinati 53 minorenni; i comunicati di Human Rights asseriscono che le vittime assommano complessivamente a 378, che gli arrestati risultano già diverse migliaia con sei condannati a morte. Cifre leggermente diverse, sia pure di poco, arrivano dall’agenzia iraniana Hrana.

Qualche giorno fa è stata convocata ed arrestata l’attrice Hengameh Ghaziani. La sua colpa? Aver pubblicato su Instagram un video, in cui appariva senza velo, per esprimere solidarietà ai manifestanti. Aveva scritto a corredo del filmato: “Questo potrebbe essere il mio ultimo post. Voglio che sappiate che non mi interessa quello che mi succederà. Starò al fianco del popolo iraniano sino alla fine dei miei giorni”. Tanto di cappello, signora. Noi, parlo dell’Occidente, che la libertà (“azadi” nella lingua dei manifestanti, il farsi) l’abbiamo – qui in Italia, grazie al sacrificio ed al sangue dei nostri nonni e dei nostri padri – e non ci facciamo neppure troppo caso, dovremmo schierarci, tutti e d’un tempo, al fianco di questi eroi perché la battaglia che stanno combattendo è giusta, dal punto di vista etico e dunque necessaria e condivisibile.

“Libertà va cercando ch’è sì cara come sa chi per lei vita rifiuta…”, spiega Virgilio a Catone, presentandogli, nella Divina Commedia, l’esule Dante. Là dove si manifesta una discriminazione, là dove si impone una norma, un potere senza confrontarsi con la gente, col popolo, ecco che deve scattare la solidarietà piena, convinta, determinata anche da parte di coloro che questo diritto lo possiedono e ne fanno uso (e talvolta abuso) tutti i momenti. Le donne, gli uomini, i ragazzi dell’Iran, terra di antiche popolazioni e di profonda cultura, debbono avvertire il legame, l’empatia, il sostegno morale delle persone di buona volontà e di sentimenti sinceri del mondo intero. Affrontano, infatti, uno scontro epocale a mani nude, mentre i tiranni ed i loro “bravi” (i Basij, i paramilitari della teocrazia sciita ) girano armati fino ai denti e si dimostrano privi di ogni senso di pietà.

Questi “combattenti” che scandiscono “Donne, vita e libertà” e manifestano – ma forse bisognerebbe definire il loro movimento una rivoluzione, tout court – per gli altri diritti fondamentali di ogni uomo e di ogni latitudine, o verranno tutti uccisi (il rischio è alto) o trionferanno, come con tutto il cuore intendiamo augurarci. Il calcio, ancora una volta, non resta solo un gioco, impastato come è pure di affari e di politica, ma può rivelarsi persino un’arma per fare pressione sulle autorità iraniane, affinché capiscano finalmente e si convincano delle buone ragioni di chi sollecita la società intera ad uscire dal Medioevo e dall’oscurantismo dell’estremismo religioso.

Come Kennedy si professò “berlinese” ai tempi della “guerra fredda”, come tutti (o quasi) dopo la strage del Bataclan ci professammo “Je suis Charlie”, oggi dobbiamo proclamarci, facendolo rimbombare in ogni angolo del globo: “Noi siamo i calciatori iraniani”. Quelli che senza infingimenti, con fierezza, audacia e orgoglio, si schierano dalla parte delle vittime. Come è giusto fare, sempre e dovunque.

Elio Clero Bertoldi

Ps. Nella seconda partita contro il Galles, l’Iran ha vinto 2-0 con gol segnati in pieno recupero.

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