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“La comunità riflessa”, storie e testimonianze del Cicolano

di | 2022-12-02T18:26:17+01:00 4-12-2022 6:25|Cultura, Sezione 6|0 Commenti

BORGOROSE (Rieti) – Il Museo Archeologico del Cicolano a Corvaro ha iniziato una serie di incontri mensili “MACché libro? La lettura come fonte di benessere”, presentazioni e dibattiti di libri di generi diversi, saggi, romanzi storici, racconti. Ad aprire la rassegna è stato a novembre il saggio di Roberto Lorenzetti “La comunità riflessa” testimonianze figurate e letterarie tratte dai catasti preonciari e onciari del Cicolano, pubblicato con il contributo della VII Comunità Montana. Insieme all’autore, ha partecipato la direttrice del Museo Francesca Lezzi (che dirige anche il Museo di Monteleone Sabino) e la direttrice dell’Archivio di Stato dell’Aquila Marta Vittorini, che si è resa disponibile a destinare una copia digitale dei documenti del Cicolano al Museo, perché siano a disposizione di tutti.

Fino al 1927, quando Mussolini istituì la provincia di Rieti, il Cicolano era in territorio abruzzese (anche se Google purtroppo ancora non lo sa e continua a scrivere Abruzzi) e molta documentazione è reperibile non solo a L’aquila, ma anche a Napoli o negli archivi vaticani, essendo stato il Cicolano zona di confine tra il Regno di Napoli e lo Stato Pontificio. Nel libro sono riportati 372 disegni, 248 motti, proverbi, aforismi, scritti direttamente all’interno dei documenti nei catasti onciari e preonciari, nel periodo dal 1720 al 1793 nel territorio di Pescorocchiano e Fiamignano, annotati e disegnati da due buontemponi di “catastieri” della famiglia Sallusti di Sambuco.

Si sorride leggendo “Con uno zoppo sarai zoppo”, “Ogni piccola mosca ave la sua bile” (antesignano del libro “Anche le formiche nel loro piccolo s’incazzano”), “Col sonar mi si passa l’appetito”, “Più bello è il bel del cor che il bel del volto”, “Bibere & rebibere facit exinguere sitem”, “Chi tiene in man forbici e panno a un tratto/se ne piglia, e non lo taglia è matto”; “Uxer tua sicur Vitis abundat” (tua moglie come una vite abbonda), “Viduas honora” (onora le vedove), “chi troppo si rencricca a terra cade”, “a cader va chi troppo in alto salle”, “chi non zappa la terra ha fame ognora”, “chi meno val più di parole abbonda”.

Il catasto viene redatto allo scopo di stabilire il peso fiscale che ciascun proprietario di beni è tenuto a pagare, fonte preziosa per conoscere la struttura economica di una comunità, prima e dopo l’introduzione dell’oncia, sistema monetario voluto da Carlo III di Borbone nel 1741. Nel 1749 Carlo III rese l’oncia una moneta di conto effettiva, facendo coniare il 6 ducati d’oro, detta oncia napoletana, che però non si impose come moneta di uso comune e nel Regno di Napoli si continuò a far uso dei tradizionali ducati. Eppure il catasto onciario avrebbe dovuto introdurre una maggiore equità, visto che il sistema fiscale in vigore nel Regno di Napoli era fondato sulla tassazione per fuochi, da molti giudicata estremamente iniqua.

I documenti presi in esame da Lorenzetti, direttore dell’Archivio di Stato di Rieti, oggi in pensione, raccontano un lembo estremo del Regno di Napoli del ‘700. I Sallusti, con un approccio calligrafico, ci trasmettono dati relativi alla cultura materiale contadina, pastorale e artigiana e anche quella orale, se si tiene conto che gran parte delle testimonianze letterarie riportate sono state mutuate dagli autori direttamente dal bagaglio conoscitivo del mondo popolare locale. Da questi documenti, che possiamo definire anche stravaganti, traspare un vasto mosaico di concetti e valori propri dell’ambiente culturale e del periodo storico in cui sono stati realizzati, critiche di un immaginario popolare e di valori radicati tra le classi egemoni. Il lavoro di Carl’Antonio e Francesco Saverio Sallusti va letto nell’ottica di un processo di comunicazione che si è concretizzato attraverso l’esternazione di giudizi morali, positivi o negativi, sui loro conterranei.

Il linguaggio di Carl’Antonio è chiaro e diretto, consapevole del processo di comunicazione che stava mettendo in campo, tanto da concludere la sua nota introduttiva con l’augurio rivolto ai compaesani “Vivete felici”. Immagini e pittura ai semplici servono da lettura, era un motto largamente in voga in quel tempo e il catasto era uno strumento utilizzato in un lungo arco cronologico. Disegni e scenette si trovano anche nei catasti di Sante Marie in Abruzzo (1761-1764), Cittareale, Castelvecchio Subaequo (1701), Scanno (1673), Civitatommassa del 1754, Meta nel 1804, di Ocre del 1753, di Secinaro nel 1745 e di Canistro del 1746, documenti molto diversi tra loro per tecnica e codici espressivi, al catasto di Lisciano a Rieti e Petrella Salto (1743) che riporta una raffigurazione prospettica del paese.

Le testimonianze dei Sallusti ondeggiano tra cultura popolare e cultura “culta”, non fanno uso del dialetto e riportano testimonianze letterarie prese a prestito da testi classici come “Hic alienus ovis custos, bis mulget in hora” (questo ignoto pastore munge le pecore due volte in un’ora) preso dalle Bucoliche di Virgilio, oppure ispirato dalla Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso: “Ai voli troppo alti, e repentini sogliono i precipity essere vicini”. Nel catasto di Sambuco del 1737 Carl’Antonio inserì il motto “Amicus certus in re incerta cer” che ritroviamo nella tragedia Ecuba del poeta Ennio, il cui testo è andato disperso ma il passo è stato ripreso da Cicerone del De Amicitia. I due facevano parte di quel ceto sociale agiato e colto che riteneva di avere il compito di combattere l’ignoranza dei villani e allo stesso tempo denunciava i vizi dei concittadini che ben conoscevano, senza però spirito inquisitorio, erano osservatori della società in cui vivevano della quale attraverso le loro immagini descrivono i vizi e le virtù.

Quando disegnano le lettere di capoverso lo fanno con forme ricercate, quando invece danno forma alle descrizioni dei loro paesani sembrano volutamente cambiare il linguaggio iconografico. Le immagini raffigurano uomini e donne al lavoro, gli strumenti usati, anche rozzi, i mestieri esercitati (molti scomparsi come i cerchiari e bottai), l’abbigliamento, con un valore documentario prezioso, riflettono l’economia e la cultura materiale di questa zona del Cicolano. Le donne partecipavano a parità degli uomini all’andamento dell’economia domestica, ma questo traspare poco. I Sallusti le descrivono intente a filare e a svolgere altre attività domestiche.

Francesca Sammarco

Nell’immagine di copertina, la presentazione del libro “La comunità riflessa” di Roberto Lorenzetti

 

 

 

 

 

 

 

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