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“Il lago dei cigni. Il canto”, splendida esecuzione

di | 2023-10-19T18:16:23+02:00 22-10-2023 5:45|Sezione10, Spettacolo|0 Commenti

ROMA – L’Accademia Filarmonica, d’intesa con il Balletto di Roma, cui per la seconda stagione affida il proprio settore di Danza, presenta al Teatro Olimpico fino al 22 ottobre – grazie a Luciano Carratoni – il grandioso balletto “Il lago dei cigni. Il canto”. L’apprezzata e molto amata istituzione Balletto di Roma, sotto la direzione artistica di Francesca Magnini, è reduce da una tournée in Cina che ha toccato sette città, oltre a Pechino e Shanghai, portandovi la famosa e ormai ventenne creazione “Giulietta e Romeo” del celebrato coreografo Fabrizio Monteverde.

Roberta De Simone e Alessio Di Traglia

Fabrizio Monteverde

A lui dobbiamo anche la recentissima sopraddetta ideazione, che partendo dal famoso ottocentesco “Lago dei Cigni” di Petipa-Ivanov, innesta su di esso e sulla popolare musica di Čajkovskij la sua nuova coreografia, incentrata sul breve atto unico “Il canto del cigno”, 1887, di Anton Cechov (già film dell’inglese Kenneth Branagh). Siamo dinanzi ad uno stile coreografico che unisce felicemente al più puro classico gestualità contemporanee, salti, e prese spettacolari: essi, mai fine a se stessi, hanno trovato nel corpo di ballo e nei solisti interpreti stupendi, calati sino in fondo nella nuova realtà drammaturgica.

Roberta De Simone e Paolo Barbonaglia

Questa mette sul palcoscenico ‘anziani’ danzatori (in realtà anche giovanissimi), che con una luminosa carriera alle spalle, non riescono ad accettare la realtà della vecchiaia: replicano la nota coreografia del capolavoro di Čajkovskij e di Petipa, coniugando (magistralmente) la classicità coreutica coi grevi movimenti della senescenza. Roberta De Simone, cigno bianco che pur nei voli della danza non frena la sofferenza, Carola Poddu, cigno nero ferma nella durezza del ruolo, mentre Alessio di Traglia rivive l’intensità del principe Siegfried, e Paolo Barbonaglia la demoniaca possanza del mago Rothbarth: e tutto il corpo di ballo non è da meno.

Il finale è indefinibile, tra il ritrarsi dei protagonisti fra i cenci di una nuova “Venere degli stracci” (bravo Monteverde e il suo fondere le arti), e il sopravvivere di taluni, in un movimento che è di chi vive – da vivo – l’amaro fine-vita di tutti. Una lode per il grande Montreverde.

Paola Pariset

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