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Il corpo delle donne diventa bottino di guerra

di | 2022-07-29T18:33:35+02:00 31-7-2022 6:25|Attualità, Sezione 6|0 Commenti

MILANO – Il passato costituisce la base per poter costruire il futuro, pertanto saccheggiare un paese e distruggere o depredare le sue opere d’arte equivale a privarlo della sua memoria collettiva, della sua anima; si determina, di conseguenza, quello che viene definito dal museologo Giovanni Pinna “la biografia culturale degli oggetti”: “Mentre per la comunità saccheggiata i simboli sottratti assumono lo status di ‘patrimonio assente’ (Harrison 2013), per i saccheggiatori gli oggetti sottratti alla comunità conquistata sono acquisiti e integrati nel proprio patrimonio”.

La storia ha sempre visto i vincitori impossessarsi del bottino di guerra, ancor più quest’ultimo è stato addirittura codificato nel mondo classico con norme ben precise che ne regolamentavano la natura, l’attuazione e la successiva divisione. Per il diritto romano la “praeda” (bottino) diveniva proprietà dello Stato (res populi Romani); nella civiltà greca basti solo citare Senofonte che scrive nella Ciropedia “[…] è legge universale ed eterna che se una città viene conquistata in guerra i corpi degli abitanti e i loro beni appartengano ai conquistatori”.

Durante gli ultimi due secoli l’uso di armi sempre più distruttive ha fatto sì che l’acme della barbarie fosse raggiunto, pertanto ricordare tutti i genocidi, i saccheggi, le distruzioni, i vandalismi, l’iconoclastia di ogni integralismo etnico-religioso equivarrebbe a far gravare su ognuno di noi il macigno spaventoso di crudeli strategie belliche tese solo all’attuazione di un altrettanto crudele obiettivo: annientare l’altro, togliendogli tutto ciò che è simbolo della sua identità, perfino la lingua. Quello che è inaccettabile, oggi più che mai, è che il corpo delle donne sia considerato parte del bottino, “res nullìus” (cosa di nessuno) e che possa essere martoriato, torturato, violato come fosse un oggetto. Il vincitore, così, umilia ulteriormente il vinto offendendo le sue donne, le sue tradizioni, la sua religione e dando vita anche ad una nuova (quanto da tutti odiata) progenie con quello che un agghiacciante neologismo cataloga come stupro etnico.

Non solo quindi violenza di genere, già terribile di per sé, ma una sorta di stupro nazionalistico, di pulizia etnica. Non occorre riportare i numeri, né le stime certe (o peggio approssimate) delle vittime di nessun paese e di nessun periodo, perché anche un solo corpo violato di un uomo, di una donna, di un bambino, di una bambina è un esecrabile crimine contro l’umanità. Eppure, nonostante la nefandezza di questi eventi della storia, si è dovuto attendere il 21 marzo 2016, data in cui per la prima volta la Trial Chamber III della Corte dell’Aja ha condannato all’unanimità il congolese Jean-Pierre Bemba Gombo, ex vicepresidente della Repubblica Democratica del Congo, per crimini contro l’umanità commessi dalle milizie ai suoi comandi nel corso delle operazioni militari intraprese nella Repubblica Centrafricana tra il 2002 e il 2003 (capi di imputazione: omicidio, stupro e saccheggio).

Jean-Pierre Bemba Gombo

Dal febbraio 2022 si è riaperto l’ennesimo fronte di guerra in Ucraina, dove l’entità del fenomeno, le vittime ed i carnefici sono al momento ancora non valutabili; ma è evidente che la presenza tra gli schieramenti belligeranti della milizia Wagner e di quella cecena, composte da para-militari famigerati per il ricorso alla violenza sessuale come arma, fa presagire che lo stupro sia utilizzato in modo sistematico. I procuratori ucraini, impegnati nelle indagini e nelle verifiche delle denunce, stanno collaborando con un pool di esperti Onu, coordinato da Pramila Patten, responsabile delle Nazioni Unite per le violenze sessuali durante i conflitti; si potrà, quindi, in seguito far ricorso a Tribunali internazionali, affinché tutto il mondo sia consapevole delle atrocità commesse da tutte le forze in campo. Il corpo violato di ogni essere vivente è un crimine contro l’umanità e si può racchiudere nel macabro e cinico intervento di Putin durante la conferenza stampa dell’8 febbraio, quando ha riportato una canzone del periodo sovietico in cui si parla dello stupro sul corpo di una donna morta: “Ti piaccia o meno, bella mia, lo devi sopportare”.

Adele Reale

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