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Il coraggio di dire no alla guerra

di | 2024-01-19T19:33:13+01:00 21-1-2024 5:00|Attualità, Sezione 1|0 Commenti

PALERMO – Se si è soggetti al servizio di leva obbligatorio e se il proprio Paese è in guerra, per chi è chiamato alle armi è assai difficile e rischioso praticare l’obiezione di coscienza. Eppure anche in Paesi come Russia, Ucraina e Israele c’è oggi chi ha il coraggio di fare questa scelta. In Russia, ad esempio, il rifiuto della guerra ha il volto del 27enne Alexander Belik, coordinatore del Movimento degli obiettori di coscienza russi, dal 2022 rifugiato in Estonia per la sua posizione antimilitarista verso il regime di Putin.

Tal Mitnick

Dal mese di giugno 2023, purtroppo il Movimento degli obiettori di coscienza è stato ufficialmente dichiarato dalle Autorità russe come “agente straniero”.  Ecco, a questo proposito, alcune righe dell’appello degli obiettori russi: “Il Ministero della Giustizia ci accusa di aver diffuso informazioni ritenute false sulle azioni e le politiche del governo, oltre a opporci alle azioni militari della Russia in Ucraina. Per l’attuale governo della Federazione Russa queste accuse sono sufficienti a giustificare la messa fuori legge della nostra organizzazione. Questo fatto, pur essendo una dimostrazione dell’efficacia del nostro lavoro, è anche un’applicazione discriminatoria della legge che calpesta i diritti umani e le libertà universalmente accettate”.

Nel silenzio delle Istituzioni europee, la WRI (War Resister’s International) e il BEOC-EBCO (Ufficio europeo per l’obiezione di coscienza) hanno scritto a Putin e al Ministro della giustizia della Federazione russa: “L’obiezione di coscienza è un contributo tangibile alla pace; pertanto, la tutela di questo diritto umano è ancora più cruciale in tempo di guerra. Questo vale anche per la guerra in corso in Ucraina, dove sia la Russia che l’Ucraina violano palesemente questo diritto. Condanniamo fermamente l’invasione russa dell’Ucraina e denunciamo tutti i casi di reclutamento forzato e persino violento negli eserciti di entrambe le parti, così come tutti i casi di persecuzione di obiettori di coscienza, disertori e manifestanti nonviolenti contro la guerra. Vi esortiamo a smettere di perseguitare le organizzazioni per i diritti umani e i difensori dei diritti umani, e a rilasciare immediatamente e incondizionatamente tutte le centinaia di soldati e civili mobilitati che si oppongono alla guerra e che sono detenuti illegalmente e persino maltrattati”.

Alexander Belik

La situazione non è molto più rosea in Ucraina dove sono sotto processo i due obiettori di coscienza Andrii Vyshnevetsky e Vitaly Alekseenko, per i quali a maggio scorso, presso la Corte Suprema ucraina di Kyiv, l’avvocato italiano Nicola Canestrini, in qualità di esperto internazionale dei diritti umani, ha presentato una memoria  sottoscritta insieme allo svizzero Derek Brett (dell’EBCO) e al greco Foivos Iatrellis (di Amnesty International): “Chiediamo alla Corte Suprema – si legge nel documento – di tenere conto di questo nostro parere per motivi di interesse pubblico internazionale in materia di diritti umani, stato di diritto e democrazia, per garantire un processo equo, ai sensi della Costituzione dell’Ucraina, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo”.

I legali ricordano poi che l’Ucraina ha l’obbligo di garantire il diritto umano all’obiezione di coscienza al servizio militare (anche ai sensi della legge marziale in vigore); che l’obiezione di coscienza come diritto individuale deve essere tutelata indipendentemente dall’appartenenza dell’individuo a organizzazioni religiose e che agli obiettori di coscienza arruolati forzatamente deve essere consentito di lasciare le forze armate.

L’avvocato  Nicola Canestrini

Infine, in Israele vanno subito in carcere i refusenik, coloro cioè che rifiutano di prestare il servizio militare. Il 2 gennaio scorso è stato infatti condannato a trenta giorni di detenzione Tal Mitnick, un diciottenne israeliano che ha motivato così il suo rifiuto di arruolarsi: “L’attacco criminale contro Gaza non riparerà il terribile massacro compiuto da Hamas. La violenza non risolverà la violenza. Ed è per questo che rifiuto”.

Sofi Orr

Ha poi già dichiarato che il 25 febbraio prossimo non si arruolerà anche Sofi Orr, come si legge nel quotidiano Avvenire del 13 gennaio scorso. Ecco perché: “Voglio mostrare ai miei coetanei che il servizio militare non è un destino ineluttabile. Ci sono alternative. Una buona metà dei ragazzi non finisce il periodo grazie a esenzioni mediche o religiose”. Nell’articolo citato, si legge che Sofi era già convinta del suo rifiuto prima del 7 ottobre: “Il massacro brutale e ingiustificabile di Hamas mi ha confermato platealmente e tragicamente che avevo ragione. Il gruppo islamista non ha alcuna scusante e non aiuta la causa palestinese. Questo stato di guerra latente, però, è sempre più pericoloso per tutti, oltre che ingiusto”.

Alexander, Andrii, Vitaly, Tal, Sofi e gli altri obiettori senza nome rifiutano la distinzione dell’imperativo etico “non uccidere” tra ambito privato e statale. Si assumono le conseguenze giudiziarie delle loro posizioni, che non contemplano il disimpegno morale. Parafrasando Hanna Arendt, sono gli esponenti di quella “banalità del bene” di cui il mondo intero, per ritrovare il buon sentiero della convivenza umana nella Pace, ha urgente bisogno.

Maria D’Asaro

 

Già docente e psicopedagogista, dal 2020 giornalista pubblicista. Cura il blog: Mari da solcare
https://maridasolcare.blogspot.com. Ha scritto il libro ‘Una sedia nell’aldilà’ (Diogene Multimedia, Bologna, 2023)

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