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Benedetto XVI, papa coraggioso e simpatico

di | 2023-01-05T14:16:17+01:00 8-1-2023 6:10|Personaggi, Sezione 3|0 Commenti

PERUGIA – L’aver abdicato al trono di Pietro accomunerà, per sempre, Benedetto XVI, al secolo Joseph Aloisius Ratzinger (1927-2022) a Pier da Morrone, Celestino V, il papa etichettato come del “gran rifiuto” da Dante Alighieri. Eppure, per l’uno e per l’altro, viene da chiedersi se veramente, la rinuncia sia figlia di “viltade” o, piuttosto di coraggio. Jacopone da Todi, all’epoca, sferzò l’eremita, appena eletto, con parole di fuoco: “Que farai Pier da Morrone, or sei giunto al paragone. Se si auro, ferro o rame, proverailo in esto esame“.

Dopo pochi mesi, pressato dai cardinali, dalla curia, dal re di Francia, dai d’Angiò di Napoli, dove era stata spostata la sede papale, Celestino gettò la spugna. Aveva compreso, perfettamente, di non essere in grado di gestire la Chiesa. E il suo rifiuto – a bene vedere – suona più come un atto di audacia, che non di pavidità (il rame jacoponico): non fosse stato un sant’uomo, abituato alla solitudine, alle preghiere, ai digiuni, ai sacrifici, avrebbe approfittato della situazione e avrebbe scelto, ipocritamente, con una concessione qua ed un’altra là, di condurre la vita di un… papa, con tutti gli agi, le comodità e le ricchezza che la carica comportava e comporta.

Il pontefice tedesco, pur non essendo un eremita, senza particolare cultura come il suo lontano predecessore, ma un profondo e raffinato teologo, deve essere giunto alle medesime conclusioni: ha preso atto, dopo 7 anni, 10 mesi e 9 giorni di pontificato, che la sua fragilità fisica, la sua debolezza legata alle condizioni di salute non gli permettevano di dirigere, con forza, decisione, fermezza la “macchina”, sicuramente complessa, della Chiesa. “Ingravescente aetate”, spiegò: vale a dire “Non ho più la forza”. Se ci fossero, dietro la sua decisione, altre motivazioni (l’attacco alla “sporcizia” dei preti pedofili e gli abusi sessuali del clero, la lobby gay, lo scandalo “Vatileaks” o l’introduzione delle norme anti riciclaggio in Vaticano) – magari legate a guerre intestine della curia – chissà se si saprà mai. Comunque il “Pregate che io non fugga davanti ai lupi…”, resta affermazione tanto pesante quanto eloquente.

Certo è lo spessore di pensiero di questo filosofo religioso bavarese, nato a poca distanza dal confine con l’Austria definito da alcuni “panzerkardinal”, da altri “timido”, da altri ancora “inossidabile conservatore”. E sebbene riservato di natura, risultava persino simpatico e spiritoso a conferma che le etichette non fotografano la realtà: la personalità è sempre, e per tutti, qualcosa di eterogeneo e multiforme. Raccontano che alla fine di un pranzo, quando ancora indossava la porpora di principe della Chiesa, avesse rifiutato il digestivo, ma quando gli avevano chiarito che si trattava del brandy “Cardenal Mendoza”, aveva subito accettato, spiegando: “Allora lo prendo: è l’unico cardinale che non fa male…”.

Joseph Ratzinger – sempre assistito da Georg Gaenswein, durante e dopo il pontificato – era venuto alla luce a Marktl am Inn, figlio di un militare e di una cuoca ed aveva un fratello (sacerdote pure lui) ed una sorella. Un suo cuginetto, diversamente abile, venne portato via dalla famiglia dai nazifascisti ed eliminato in un lager. Avvenimento che l’uomo Joseph, prima che il sacerdote, mai aveva dimenticato. E la sua battaglia contro il “relativismo”, forse vanta una delle sue scaturigini proprio in questo terribile episodio personale. Joseph ebbe modo di studiare e, una volta ordinato sacerdote (a metà del 1951), si rivelò un apprezzato, valente professore di teologia dogmatica nelle università di Frisinga, Bonn, Munster, Ratisbona e Tubinga. “Uno dei maggiori teologi del Novecento”, assicurano molti studiosi.

Addirittura, al seguito del cardinale di Colonia, Josef Frings, partecipò al Concilio. Non solo: fu arcivescovo di Monaco e Frisinga e prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede sotto Giovanni Paolo II. Altissimo il numero dei libri e degli articoli usciti dalla sua brillante penna. Tra le curiosità il fatto che fosse un amante della musica classica ed in particolare di Mozart e che amasse i felini, a cominciare dal suo gattino “Chico”. Inoltre parlava otto lingue, latino compreso (col quale annunciò le sue dimissioni). In italiano ha pronunciato – lo ha rivelato Gaenswein – le sue ultime parole: “Signore, ti amo”.

“Sono in viaggio verso casa”, è una delle frasi che gli vengono attribuite dopo essersi tolto l’anello piscatorio simbolo del Papato. Ed aggiungeva: “Bisogna prepararsi alla morte. Accettare la finitezza di questa vita e mettersi in cammino per giungere al cospetto di Dio”.
Conservatore, certo, su alcune questioni, ma anche innovatore. Fu lui a nominare dottore della Chiesa ed a canonizzare la mistica del Medioevo Ildegarde di Bingen, tanto amata dalle femministe e dagli ambientalisti.

Sempre lui aveva tenuto aperto un dialogo con le altre religioni monoteiste, l’ebraismo e l’islamismo, entrando in una moschea. É vero che dopo la famosa “lectio di Ratisbona”, dove aveva citato una frase di un imperatore bizantino, Manuele II Paleologo, particolarmente cruda e dura nei confronti dell’Islam (“religione malvagia e disumana”) aveva rischiato una guerra, ma immediatamente era stato pronto a correggere il tiro. E rivolto ai musulmani aveva, affermato come “tutti noi preghiamo per un unico Dio”.

Il Papa emerito – il cui corpo è stato sottoposto a tanatoprassi per essere meglio conservato – riposerà nelle Grotte Vaticane.

Elio Clero Bertoldi

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