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Attentato a Papa Leone X: un “pizzino” tradì i congiurati

di | 2023-02-24T19:44:09+01:00 26-2-2023 6:20|Personaggi, Sezione 5|0 Commenti

PERUGIA – Il piano messo a punto da un gruppetto di cardinali per far fuori il pontefice Leone X (Giovanni de’ Medici, quartogenito di Lorenzo il Magnifico), incoronato appena quattro anni prima, nel 1513, tra l’altro con il loro voto favorevole, appariva semplice, ma efficace perché contava sulla complicità di un medico – comprato e corrotto a suon di ducati – chiamato a curare una fistola di cui soffriva il papa. Il cerusico, Gian Battista da Vercelli, avrebbe dovuto soltanto spargere sulla piaga del paziente non un medicamento, bensì un potente veleno. Nessuno avrebbe coltivato sospetti, per cui al conclave successivo, al soglio di Pietro sarebbe stato candidato ed eletto – almeno nelle elucubrazioni dei congiurati – Raffaele Sansoni Riario, pronipote di Sisto IV.

Papa Leone X, al secolo Giovanni de’ Medici

Tutti i cospiratori avrebbero ricavato la loro parte di ‘’bottino’’: il Petrucci avrebbe riguadagnato, al proprio ramo familiare, a Siena, dove si sarebbe scatenato un sovvertimento per avviare il ricambio di governo, così come Francesco Maria della Rovere sarebbe rientrato nella sua Urbino (dove il papa aveva fatto insediare Lorenzo de’ Medici). Gli altri avrebbero spartito soldi o prebende di vario genere. I principali orditori della cospirazione – i cardinali Alfonso Petrucci di Siena, Bandinello Sauli di Genova, freschi di porpora ed abbastanza ingenui e Raffaele Sansoni Riario della Rovere (già legato papale a Perugia tra il 1478 e il 1480 e primo protettore di Michelangelo Buonarroti a Roma) – commisero imperdonabili ingenuità e banali errori, scambiandosi troppe lettere, sia pure cifrate.

Il cardinale Bandinello Sauli

Una di queste missive, intercorsa tra il porporato ed il proprio segretario, Marcantonio Nini, finita nelle mani degli sbirri pontifici (qualche spia avrà soffiato qualcosa?), portò alla scoperta del diabolico disegno criminale. Che fu perseguito e punito in maniera esemplare, sebbene fosse solo un tentativo di omicidio abortito sul nascere. Tra i primi a confessare Bernardino da Perugia, appartenente alla casata dei Pellini, da pochi decenni creati dall’imperatore ‘’conti palatini’’, titolo importante ed ambito, a quei tempi. Il nobile perugino si muoveva nella cerchia del cardinale senese, la cui sorella, Francesca, aveva sposato un altro aristocratico perugino: Orazio Baglioni, figlio di Gianpaolo, signore di Perugia e amico stretto e di lunga data del padre della sposa e del principe della Chiesa, Pandolfo Petrucci, a sua volta signore di Siena per molti lustri.

E pure Orazio vide addensarsi pesanti indizi sulla propria testa, sebbene riuscisse poi a cavarsela. Le lettere recuperate, con una serie di perquisizioni nei palazzi dei sospettati e le confessioni – alcune spontanee, altre estorte pure con l’uso della tortura, lecita all’epoca -, diedero luogo ad un clamoroso processo, che vide coinvolti una cinquantina di indagati, persino altri porporati e che si concluse con quindici condanne, alcune delle quali alla pena capitale. I primi arresti scattarono il 18 maggio 1517 e il procedimento fu seguito con comprensibile partecipazione ed interesse non solo dai romani, ma anche dalle corti italiane ed europee, considerato il coinvolgimento di figure di primo piano e il fatto che la congiura fosse finalizzata ad uccidere il papa, tra l’altro proprio nei mesi in cui Martin Lutero affiggeva sulla porta della chiesa di Wittenberg in Germania, le sue 95 tesi contro le indulgenze a pagamento.

Il cardinale Raffaele Sansoni Riario della Rovere

I cardinali Petrucci e Sauli vennero ristretti in Castel Sant’Angelo mentre il chirurgo, Scipione Petrucci (congiunto del cardinale senese), il capitano Pochintesta da Bagnacavallo (originario di Cortona, centro allora nell’orbita di Siena), Paolo Agostini del Fornaro da Siena (la cui splendida moglie, Clarice, secondo il gossip dell’epoca, sarebbe stata amante di Pandolfo Petrucci, signore di Siena), Marcantonio Nini, Niccolò Masi da Romana, palafreniere papale e gli altri furono trascinati in carceri diverse a disposizione degli inquisitori. Sessanta giorni dopo i primi arresti, il principale accusato, il cardinale Petrucci, veniva giustiziato (il 4 luglio) per strangolamento, in una segreta di Castel Sant’Angelo. Il Pochintesta, che aveva pregato i giudici di venire decapitato come si addiceva ad un militare di carriera, subì, invece, l’impiccagione ad un merlo del carcere di Tor di Nona; terribile la fine del Nini e del chirurgo Battista, il corrotto: impiccati al ponte di Castel Sant’Angelo, dopo essere stati trascinati, col tormento di tenaglie infuocate, sul luogo dell’esecuzione e, una volta morti, sottoposti allo squartamento.

Il cardinale Alfonso Petrucci

Quale condanna – la lunga sentenza venne letta in pubblico dall’allora segretario domestico del pontefice, il letterato Pietro Bembo – abbia ricevuto Bernardino da Perugia non risulta: probabilmente subì la detenzione. ‘’Galera perpetua’’ scattò, invece, per Paolo Agostini (a conoscenza della congiura non l’aveva denunciata, questa la sua colpa) e per Scipione Petrucci, entrambi graziati dopo pochi mesi. Il cardinale Sauli – a favore del quale si spese Franceschetto Cybo, cognato del papa per averne sposato la sorella Maddalena e conte di Ferentillo e di altri paesi della Valnerina – salvò la vita, versando una cospicua ammenda, ma si spense, nel marzo del 1518 colpito, sembra, da febbri malariche.

L’altro principe della Chiesa, Sansone Riario, ottenne la libertà il 24 luglio, tuttavia anche lui non sopravvisse a lungo: spirò agli inizi di luglio del 1521. Due altri cardinali – sospettati di aver svolto un qualche ruolo nella complessa vicenda -, Francesco Soderini ed Adriano Castellesi, sottoposti ad un processo extragiudiziario, riuscirono – confessando e dichiarandosi profondamente pentiti – a cavarsela anche loro con il pagamento di una onerosa ammenda. Il Soderini, fratello del più famoso Pier Soderini, gonfaloniere della repubblica di Firenze, morì di peste nel 1524. Agghiacciante il destino del Castellesi, noto umanista e creato cardinale da papa Alessandro VI Borgia: riparato a Venezia, vi abitò in segreto fino alla morte di Leone. Avuta notizia della scomparsa del pontefice, suo nemico personale e speranzoso di poter tornare a rivestire la porpora, partì per Roma, ma durante il viaggio (nel dicembre 1521) tra la Romagna e l’Umbria, venne ucciso, pare per rapina consumata da un suo stesso servo. Il corpo del cardinale non fu mai trovato.

Elio Clero Bertoldi

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